E' difficile capire che cosa sia diventata ma soprattutto dove stia andando la "Fiera di Sant'Orso", che oggi e domani dominerà la scena ad Aosta. Il fatto certo è che su questa manifestazione, ormai kermesse senza eguali al centro della città, non è mai esistito un disegno vero, una specie di piano regolatore che indicasse che cosa si dovesse fare e come si dovesse sviluppare. E' diventata di conseguenza, con moto piuttosto spontaneo, una sorta di gigante - come lo erano Gargantua e Pantagruel di Rabelais - nato da tocchi e ritocchi, frutto di decisioni di politici e dirigenti che se ne sono occupati in alternanza per rispondere in sostanza - con un fil rouge non sempre così coerente - ad una duplice crescita. Da una parte i pochi espositori, prevalentemente di oggetti agricoli, sono stati affiancati da espositori più sul versante oggettistico ed artistico, cui si è aggiunta una vera e propria folla di artigiani amatori, che andavano canalizzati allargando il cerchio della "Fiera". Questo ha costretto a crescenti classificazioni e anche a regole per imbrigliare con difficoltà che cosa fosse o meno "Tradizione".
Perché difficile? Perché la Tradizione non resta mai congelata per sempre e dunque evolve, aggiungendo e togliendo elementi e imbrigliare le novità con logiche troppo conservatrici è compito improbo. Specie se lo si dovesse fare verso la piccola casta di eccellenze assolute di quelli che chiamiamo "artigiani-artisti", perché sanno proprio con i loro lavori imprimere accelerazioni nel déjà vu, dando scossoni che si ripercuotono poi al di sotto, visto che sarebbe illusorio per certi Maestri imporre logiche, che pure ci starebbero, di copyright e dunque si alimenta un crescente processo imitativo, favorito anche dal fenomeno delle scuole. Alla "Fiera" ormai, in una logica allegra e arruffona, si vede di tutto: dal mirabile e costoso oggetto unico di qualche star sino a chi senza complessi presenta del kitsch e ci tiene comunque ad esserci con il suo banchetto. Ma la crescita ha avuto un altro volto: da fiera di paese nella città (il vecchio "Bourg"), con ricaduta solo sugli aostani, le presenze sono cresciute a dismisura prima con i valdostani, poi con turisti alpini viciniori da Savoia e Vallese (grazie ai trafori) ed anche - partendo dai piemontesi confinanti - con turisti italiani di origine sempre più distante. Anche in questo caso si è reagito, come avviene con un bambino che cresce con la necessità di vestiti dalla taglia sempre più grande, e ciò - senza mai toccare il tabù dell'allocazione della "Foire", rimasta sempre 30 e il 31 gennaio senza scivolare verso il più attrattivo finesettimana - ha significato ragionare ancor di più su geometrie variabili nei flussi, a seconda che di mezzo ci fossero o no sabato e domenica. Morta in culla la "Festa della Valle d'Aosta" del 7 settembre, invisa al presidente Augusto Rollandin perché non l'aveva pensata lui, la "Foire" resta - nella sua accogliente rozzezza priva di alcuna logica celebrativa dell'Autonomia - la sola festa popolare di massa in Valle d'Aosta e lo dimostra la vacanza data agli allievi nei calendari scolastici. Personalmente ci vado perché mi piace l'atmosfera di giorno e di notte (il 30 nelle cantine per la "Veillà"): l'ho vissuta da ragazzo, da giornalista radiotelevisivo, poi da "autorità" regionale. Ora sono tornato a farlo come cronista per la radio (oggi e domani dalle ore 12.30 sulle frequenze di "Radio1" negli spazi regionali) ed in televisione (stasera alle ore 20 su "Rai3" per "RaiVd'A"): è un'occasione simpatica per quattro chiacchiere con persone varie in diretta da piazza Chanoux e dintorni. D'altra parte, al di là del lavoro, non si può mancare all'aspetto sociale e a quello godereccio della "Foire" in cui alla logica "borghese" delle "vasche" nelle vie chic di Aosta si sostituisce il sinuoso serpentone di gente la più varia, irregimentata persino in sensi unici pedonali da ingorgo stradale, che va e che viene, guarda e discute, beve e mangia, canta e ride, come si farebbe in una festa familiare, in questo caso moltiplicata a dismisura sino a farne... Sant'Orso. Santo domestico, figura avvolta da molto mistero ma alla quale la Fiera è dedicata in modo cristallino: sarebbe certo stupefatto da certi aspetti della modernità rispetto alla sua leggenda, compreso quel gesto antico degli zoccoli in legno che distribuiva pietosamente ai poveri.