Ci vorrebbe la penna brillante di un Alexandre Dumas per raccontare la triste discesa agli inferi del "Casino de la Vallée" di Saint-Vincent, oggi malato terminale per via dell'insipienza e dell'ormai accertata responsabilità (Toh! Proprio la parola forte "responsabilité" usata ieri al Congresso dell'Union Valdôtaine...) di chi diceva di occuparsene con piglio risolutore. Invece, di danno in danno, questo è diventato il bubbone più purulento, sintomo del fallimento di certa politica arrogante ma mediocre nel persistente - musica per le orecchie per chi ne è suddito - «faso tuto mi».
Nel breve volgere di poco meno di dieci anni, la Casa da gioco è precipitata dai fasti del passato a gestioni di un livello sempre più basso, che l'hanno portata alla soglia del fallimento. L'aspetto singolare e direi picaresco sta nel clamoroso castello di menzogne che ha costellato il crescente flop. Non mi riferisco alle ardite manovre di bilancio od alle sibaritiche spese di ristrutturazione - su cui pare diverse Magistrature abbiano infine acceso un fascio di luce - ma proprio al rosario di bugie sentite nell'aula del Consiglio Valle e per fortuna resocontate a futura memoria. Si aggiungono anche la pioggia di comunicati stampa del Casino pieni di ottimismo e persino di glamour, specie quando a fronte di clamorose perdite indoravano la pillola con dotte dissertazioni sul contesto negativo che si accaniva su gestioni altrimenti brillantissime. Il fil rouge, mentre incombeva sempre più un profetico "Rien ne va plus", era comunque solo e sempre l'ottimismo: ogni volta dietro l'angolo c'era la meravigliosa intuizione che avrebbe potuto riportare ai tempi d'oro. Sembrava di sentire quella sfigata di Rossella O'Hara, alla fine di "Via col vento", quando diceva: «Dopotutto, domani è un altro giorno!». Anzi, in ossequio agli anglicismi piombati sul Casinò per via dei geni della comunicazione: «After all, tomorrow is another day!». Bisognava pazientare - dicevano i big - e smetterla di essere catastrofisti: ci penserà l'appeal del nuovo hôtel, confidiamo nel ricco mercato cinese, puntiamo sul poker (anzi, no), ci lanciamo sul gioco online (anzi, no). E via di questo passo (uno avanti e due indietro) in un delirio di incompetenza, che ha portato un patrimonio dei valdostani ad essere pronto ad essere svenduto come un usato che vale sempre meno, tanto che c'è da chiedersi chi lungo la strada della privatizzazione potrebbe essere così improvvido da comprare, pensando anche al famoso detto valido per i candidati alla Presidenza americana: «comprereste da lui un'auto usata?». Appunto. Ed invece anche su quanti acquirenti ci fossero se ne sono sentite in passato di tutti i colori: sceicchi danarosi con petrodollari disponibili all'acquisto, americani capienti pronti a tutto con la ricetta giusta, manager di Macao (dove il gioco è crollato...) già sulla porta dell'azienda. Intanto si avvicinava il tracollo e "gli amici degli amici" - specie con titoli di studio inesistenti - scalavano posizioni e ottenevano promozioni più le vacche si facevano magre e dimagrivano gli stipendi dei dipendenti (meno di certe prebende dei vertici). Una specie di assalto alla diligenza (o meglio, viste certe ascese, "alla dirigenza"), prima della fine sempre più vicina. E questa ode all'ignoranza clientelare - meglio essere portatore di voti che portatore di idee - cavalcava due aspetti preminenti. Da una parte la considerazione che il paese di Saint-Vincent, pur ospitando la Casa da gioco, fosse una specie di accidente e dunque crepasse pure, senza pensare che il crescente squallore in una sorta di desertificazione del tessuto commerciale sarebbe tornato come un boomerang anche sull'attrattività della stessa Casa da gioco. Ma soprattutto si è manifestata l'idea balzana di togliere ogni manifestazione di grido, che attirasse come in passato la clientela, come musica, sport, spettacolo. Per non dire di un antico fiore all'occhiello, che accompagnava l'azzardo e ciò importanti avvenimenti culturali (giornalismo, cinema, economia e molto altro). Ma ignoranza chiama ignoranza e dunque meglio tagliare ogni azione che elevasse il livello e attirasse clientela buona, meglio spendere in lavori edili, forniture alimentari, viaggi di studio in Oriente, "promoticket" complicati... Poi di fronte al tracollo, spunta lo stupore di molta politica correa o silente, mentre quando era il momento di reagire chi parlava - come me - veniva bollato come un "trombato" che rimpiangeva il potere che non aveva più. Ora che rileggo quanto dicevo mi trovo nient'altro che un onesto profeta di una sventura destinata ad arrivare, una volta diradata la nebbia di balle sul rilancio e il futuro radioso su cui sono calate le tenebre. Ora lo tsunami è arrivato e, chissà come - benché ormai a bagno sino al collo - ci sarà chi inventerà nuove meraviglie. Ma, tra abbattimento del capitale sociale (con le banche pronte a chiudere i fidi) e i ricatti sociali sul personale (per ottenere in fretta del cash), più che nuotare per raggiungere la riva c'è ormai il rischio di finire a fondo. E nessuno se ne può compiacere.