Mi ha sempre fatto sorridere e anche pensare il fatto che nel passato della città di Aosta, ancora nell’Ottocento, ci fossero due "Sindaci", uno della "Plaine" e uno della "Montagne". Come a definire una sorta di cesura tra due mondi in realtà diversi e dunque meritevoli, per così dire, di diversa amministrazione. Oggi, per capirci, il territorio valdostano è considerato interamente montano, ma in realtà chiunque di noi sa bene che il fondovalle - anche se poi molti Comuni "bassi" hanno territori che risalgono fino alle cime viciniore - ha condizioni non assimilabili a chi è in montagna. Non abbiamo però mai avuto una "legge della montagna" valdostana che tenesse conto di specificità per quote e condizioni geografiche diverse. Inoltre ben si sa che non cessa il fenomeno di aggregazione nei Comuni della vallata centrale, specie in quei Comuni che ruotano attorno ad Aosta, dove di conseguenza si afferma una presenza largamente maggioritaria nel complesso della popolazione residente, compreso chi mantiene residenza nei Comuni montani, ma in realtà vive prevalentemente altrove.
Ci pensavo - anche se l’argomento appare distinto - rispetto ad un interessante contributo di riflessione dell’intellettuale occitano, mio amico, Mariano Allocco, che unisce capacità di azione a ragionamenti sottili attorno al futuro alpino. Il suo ragionamento verte attorno ad "Asimmetrie alpine e determinismo ambientale": «Vivere le Alpi sul versante italiano e su quello estero presenta differenze sostanziali. Da noi, specialmente in Piemonte, è evidente l'emergere di un conflitto tra Piè e Monte, altrove questo non succede e le vicissitudini "Tav" in val Susa e la "questione lupo" sono due esempi sui quali riflettere. Cosa sta capitando qui? Dalla pianura si pone al centro delle politiche montane l'ambiente, mentre dal monte si chiede che la centralità sia riportata sull'uomo che questo ambiente vive, questione non da poco. Perché questa differenza di paradigma in Italia? Quale è la differenza tra i due versanti? Se tracciassimo una sezione perpendicolare alle Alpi, vedremmo che il pendio in pochi chilometri in Italia precipita in pianura, in Francia, in Svizzera ed altrove invece non c'è separazione netta tra grande pianura e montagna, le città sono lontane, le Alpi se la prendono comoda e la pianura non c'è. La spiegazione va cercata proprio lì, nell'asimmetria dei versanti alpini, nella diversa distribuzione delle curve di livello. Il confine tra Pianura Padana ed Alpi è netto ed in Piemonte lungo di esso corre una città diffusa chissà che fa da confine tra due mondi che stanno allontanandosi sempre più. Mentre sulle Alpi si sta affermando un deserto verde, in basso c'è una pianura sempre più antropizzata, con un tasso di inquinamento tra i peggiori in Europa, con aree metropolitane che sono motore di sviluppo industriale ed una agricoltura intensiva sempre meno sostenibile. Una società postmoderna, in crisi strutturale, vede nelle Alpi sempre più verdi un alibi, senza sapere che con ogni probabilità l’anello debole sta in basso. Sul versante estero invece il declino è graduale, le città sono lontane e non c'è quella frattura geografica, ambientale, storica e sociale che troviamo qui. Il conflitto che sta emergendo in modo evidente è per buona parte riconducibile a questi fattori, questione da sociologi, economisti, antropologi, a cui do una lettura da montanaro. Aggiungiamo poi che lo spartiacque alpino che separa gli Stati dal "Trattato di Utrecht" (1713) non ha mai separato le genti montanare, che vivono allo stesso modo l'immanenza del territorio, la stagionalità, i problemi logistici e tutto quanto riguarda la vita. Un approccio maturato e vissuto nei secoli che porta le popolazioni alpine a difendere quanto di sacro e di indispensabile è necessario per vivere quassù: libertà e democrazia. Il rapporto tra questi due mondi andrebbe ricondotto in un contesto che il professor Fabrizio Barca chiama "conflitto ragionevole", per arrivare assieme ad un nuovo ed indispensabile "patto di sindacato" tra Monte e Piano. Ho vissuto i due mondi, li conosco, ho visto la povertà che ha portato alla desertificazione alpina, ma era una povertà da sempre dignitosa, che aveva una via di fuga. Nella pianura, nelle aree metropolitane la povertà è in un "cul de sac" di disperazione, lì c'è la miseria, miseria che sulle Alpi non c'è mai stata, per questo dico che l'anello debole è in basso. Cosa si aspetta a unire idee e energie per pensare assieme un avvenire possibile?». Trovo parecchi spunti per una discussione che riguardi il futuro al di qua e al di là delle Alpi, compresi pensieri validi in una logica valdo-valdostana a tutela di un'alta montagna che - laddove non impera il turismo - rischia sempre più di morire e cedere il passo a territori privi di presenza umana in contrasto con millenni di storia di una montagna anche elevata, sotto le vette un tempo considerate superflue, vissuta e forgiata.