Mamma mia che mondo complicato, in cui bisogna stare sul "chi vive" e sulla difensiva per poter esercitare anche le proprie preferenze più elementari di fronte a platee di persone che ritengono di saperla molto lunga (certo più lunga di te) e di avere la verità in tasca (certo più vera della tua). Così, per partire dalla quotidianità spesso più espressiva dei massimi sistemi, confesso che non so se mangerò capretto o agnello a Pasqua e dintorni, ma non posso escluderlo a priori. Anche se non ho particolari tradizioni da rispettare nella maggior libertà di movimento della Festività, rispetto al noto "Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi". Un detto da commedia all'italiana o da cinepanettone...
Devo dire, per altro, che il ricordo culinario che ho più forte nella memoria di un pranzo pasquale a Imperia è - per me che mangio il pesce senza andarne pazzo - un pasto con i bianchetti di pesce fritti, cioè il novellame oggi vietatissimo per rispettare la fauna ittica. Ma era straordinaria anche la torta pasqualina o meglio torta verde all'onegliese con bietole, uova, parmigiano, riso. Poi mi vengono in mente a Pasquetta meravigliosi picnic in montagna con tutti quei mangiari fatti di salumi, formaggi e barbecue! Attenzione, attenzione! Tutto quello che ho citato fa ribrezzo alla nuova frontiera del "vegetarismo", cioè il "veganismo", il tipo di alimentazione che vieta proprio tutti i prodotti di origine animale (cioè anche il miele, le uova, il latte ed i suoi derivati). Mentre un tempo chi usava queste regole alimentari era assoluta minoranza, oggi non è più così e la pratica si è molto diffusa e mi pare assai blasé e talvolta settaria, cioè se non ci sei dentro allora sei fuori. Personalmente - fatti salvi i problemi delicati in età infantile - penso che ognuno sia libero di scegliere di alimentarsi come vuole in barba al finto Stato etico, che almeno nel caso italiano tasserà le bibite gassate come la "Coca-Cola" non per nobili ragioni ma per la vorace fame del Fisco (lo stesso che campa sempre di più sul dramma della ludopatia). Comunque come si mangia dovrebbe essere un evidente spazio di libertà, quella che così si definisce con una frase ormai classica: "la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri". Per cui ognuno deve avere legittimamente i propri spazi, assumendosene responsabilità e - in periodo di vacche magre della finanza pubblica - anche costi, come può avvenire per la Sanità di fronte a comportamenti sfrontati di cittadini che perseverano in stili di vita smodati e senza regole. Ma torniamo al punto: io sono rispettoso di ogni sensibilità verso il cibo e chiedo per contro che questo debba avvenire per me. Ho sempre letto con interesse quanto scrivono vegetariani e vegani rispetto a scelte che motivano per ragioni di salute e di etica verso il mondo animale in quel range che pure li differenzia. Noto con dispiacere che esiste un moto crescente di persone che vanno al di là del dovuto: sono frange intolleranti verso chi sia carnivoro o consumi prodotti animali. C'è una carica di settarismo e persino di violenza e non solo verbale. Ciò fa riflettere, per estensione, sulla forza dell'integralismo, cioè quanto pesi ormai - come definizione esatta - la tendenza ad attuare in modo integrale, senza compromessi, e spesso con intolleranza, i princìpi della propria dottrina o ideologia nella vita politica, economica e sociale. Un tempo, ma direi che è caduta in disuso, si usava la parola "fanatismo". Karl Popper sarà un po' complesso, ma chiaro nel definire in fondo gli elementi di un disegno autoritario, che sottende l'azione dei fanatici: «La teoria che la verità è manifesta - visibile a tutti, solo che lo vogliano - è alla base di ogni forma di fanatismo. Infatti solo la più depravata malvagità può rifiutarsi di vedere la verità manifesta; solo coloro che hanno ragione di temere la verità possono cospirare per sopprimerla. Ma la teoria che la verità è manifesta non solo educa fanatici, cioè uomini convinti che tutti coloro che non vedono la verità manifesta devono essere posseduti dal diavolo, ma può anche condurre, sebbene forse in modo meno diretto di quanto possa fare una epistemologia pessimistica, all'autoritarismo. E questo, semplicemente, perché di regola la verità non è manifesta».