Sarà il caldo - che pare non fosse così da tanti anni (150 si dice in Italia, dal 1974 si sostiene in Valle) - ma diventa davvero difficile astrarsi da questa situazione boccheggiante, che rischia di apparire surreale persino in questo nostro angolo di Alpi. Confesso che quando ieri il termometro segnava 41 gradi centigradi sulla mia macchina ho pensato a quanto il troppo stroppi, perché sembra - con una sorta di straniamento - di essere altrove che qui. Lo stesso nel cuore di questa notte quando, assillato dall'afa, sono uscito a cercare frescura sotto un cielo pieno di stelle. Per cui scusate per il tema odierno, che è una discussione stucchevole ma classica nella sua impostazione: «è meglio il caldo o il freddo?».
Si tratta di una domanda da conversazione banale, quella che spesso avviene nella nostra vita e che si trova a volte con il pilota automatico della "chiacchiera di maniera". Può trattarsi di una battuta fugace o di un dialogo più strutturato. Il clima è da sempre un prezzemolo utile per dire la nostra. Ci si riferisce naturalmente agli estremi, che per altro non stupiscono laddove - come in Valle d'Aosta -avviene normalmente, ci sia da una parte un clima continentale, che accentua i contrasti e dall'altra l'altimetria estrema, che consente di avere caldo e freddo nella stessa Valle a diversa altezza. Vale così quel compromesso storico validamente espresso da Mark Twain: «L'estate è quel momento in cui fa troppo caldo per fare quelle cose per cui faceva troppo freddo d'inverno». L'aspetto singolare della tenzone è che la più ovvia delle risposte è banalmente simmetrica: se fa caldo è così facile spogliarsi e ritrovare la giusta temperatura; se fa freddo è così semplice coprirsi per proteggersi e scaldarsi. Vale per entrambi l'espressione alla "Lapalisse" del vestirsi a strati, come la cipolla. Per me, alla fine, pari sono e non è una risposta ipocrita e "politica" nel senso in auge, cioè una forma di doppiogiochismo o meglio di doppiezza, che fa sì che si sia vegetariani ad un'assemblea di fruttivendoli e carnivori ad una di macellai. Resta il fatto che per esprimere l'estate e il caldo quoto Eugenio Montale e la sua "Meriggiare pallido e assorto".
«Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d'orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com'è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia».
Sul freddo, mi spiace, non trovo nulla di convincente che racconti di quelle sensazioni secche dell'inverno alpino, fatto di gelo essenziale, che sveglia ogni attenzione, con il vapore dalla bocca che conferma il freddo. E si accompagna a quei panorami invernali, specie con cieli blu, con gli occhi che spaziano dalle montagne bianche ai boschi irrigiditi e le scarpe scricchiolanti sulla neve danno quel senso di un mondo felpato. Ma il freddo è anche il fantastico roteare dei fiocchi di neve, che scendono a seconda delle circostanze in una singolare varietà, di cui solo la memoria e l'esperienza danno conto. Pensarci ora, nel contrasto con la canicola (che in realtà dovrebbe essere ad agosto!) mi offre qualche refrigerio nel pensare a quel freddo che ora si agogna.