Avrei voluto scrivere della "500", la macchinetta più vecchia di me di un anno. Stavo leggendo ieri sul mio telefono un articolo dell'Ansa, che ricordava l'anniversario di oggi e così recitava: "La 500 "sessantenne" è stata prodotta in quasi 3,9 milioni di unità e si è via via arricchita di varianti rispetto al modello base mostrato per la prima volta il 4 luglio del 1957. Anzi, le prime due - la "500 Normale" e la "500 Economica" - vennero lanciate a pochi mesi dal debutto, in occasione del Salone di Torino di sessant'anni fa, per ovviare ad un problema che "affliggeva" la prima versione: la mancanza di un vero divanetto posteriore e l'omologazione per due soli posti. Nel 1958 arriva la "500 Sport", con il tetto rigido al posto di quello apribile, e la caratteristica fascia rossa sulle fiancate. Nel 1959 debutta la "500 Sport tetto apribile" ed un anno più tardi la "500 Giardiniera", piccola wagon più lunga di dieci centimetri della berlina".
"Nell'autunno del 1960 la "500" diventa "500 D" - continua l'articolo - con cilindrata aumentata e velocità che tocca ora i 95 chilometri orari. Nel 1965 cambia la posizione delle porte - diventano "controvento" e la denominazione diventa "500 F", affiancata nel 1968 dalla "500 Lusso". Nel 1972, infine, arriva l'ultima variante della "500", denominata "R" e presentata in contemporanea con il debutto della "126" designata a raccoglierne l'eredità. La "500 R" esce di produzione nell'estate del 1975". Una grande emozione per me, che questi modelli - comprese le fantastiche "Abarth" - le ho viste tutte, visto che mio papà, veterinario di montagna, la usava come un fuoristrada per andare in giro dappertutto nel suo lavoro, bruciandone quasi una l'anno! Quando d'improvviso - giunto a questo punto della lettura - mi è apparsa una notizia flash, che annunciava la morte di Paolo Villaggio, poco più che ottantenne. Era anche un lui un pezzo della storia della mia generazione, che non potevo non evocare, pensando a quando ragazzino lo scoprii nella trasmissione domenicale della "Rai" del monopolio e in bianco e nero con il suo umorismo irridente (Fracchia su tutti) e poi, nel Natale del 1972, ricevetti in regalo il suo primo libro dedicato al ragionier Ugo Fantozzi, il suo personaggio di punta, proposto poi al cinema fino al suo progressivo logoramento. Ma questo non sposta di un centimetro il fatto che per generazioni il "fantozzismo" o meglio il comportamento "fantozziano" ha inciso in linguaggi e gag che si tramandano ormai nel tempo. Ora Fantozzi muore con il suo creatore, Paolo Villaggio, in verità incarognito dalla vecchiaia con il suo carico di ingratitudine e forse anche divertito nel da giocare il ruolo di «quello un po' rincoglionito», ma destinato proprio con il suo proverbiale personaggio a rimanere nei costumi. Ricordo la confessione del personaggio lunare alla celebre moglie, la signora Pina: «...Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché? Perché sono il più grande "perditore" di tutti i tempi. Ho perso sempre tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto - dico otto! - campionati mondiali di calcio consecutivi, capacità d'acquisto della lira, fiducia in chi mi governa... e la testa, per un mostr... per una donna come te». E' stato rappresentante perfetto dell'antiretorica dell'Italia del boom economico nei panni dello sfigato di impiegato medio, che rappresentava l'aria dei tempi più di tanti saggi sociologici su quell'Italia. Villaggio disse che il cognome lo aveva tratto da un impiegato dell'"Italsider", dove aveva lavorato, ma penso fosse solo una «cagata pazzesca» (ricordate la "corazzata Potemkin" al cineforum?) di un uomo bizzarro e intelligente, sempre canzonatore e borderline con il suo modo di scherzare agro. Come quando dialogava in coppia, giocando a tennis, con il suo collega Filini, eterno perdente: Filini: «Allora, Ragioniere, che fa, batti?» Fantozzi: «Ma, mi dà del tu?» Filini: «No no dicevo, batti lei?» Fantozzi: «Ah, congiuntivo?» Filini: «Sì!» La descrizione del loro look in campo resta magistrale: «Abbigliamento di Filini: gonnellino-pantalone bianco di una sua zia ricca, maglietta "Lacoste" pure bianca, scarpa da passeggio di cuoio grasso, calza scozzese e giarrettiere, doppia racchettina liberty da volano. Fantozzi: maglietta della "Gil", mutanda ascellare aperta sul davanti e chiusa pietosamente con uno spillo da balia, grosso racchettone 1912, elegante visiera verde con la scritta "Casinò Municipale di Saint-Vincent"». Quando il nostro Casinò aveva un potere evocatore di prestigio contava pure nel look di Fantozzi e viene più da piangere che da ridere, così come capita nel pensare a Villaggio che se ne va, non con la "500" evocata all'inizio ma con la sua immarcescibile "Bianchina", la buffa "Autobianchi", nata anch'essa nel 1957. Vadi pure, Villaggio - Fantozzi, che il Paradiso degli artisti l'aspetta, dove incontrerà quel Gigi Reder - Filini, morto vent'anni fa...