Ne scrivo o non ne scrivo? Ogni tanto mi capita di trovarmi di fronte a questo interrogativo. Specie quando mi accorgo che un certo argomento si è talmente avvolto su sé stesso, che si stenta a trovare la via di ingresso o di uscita e finisce per esserci una sorta di rigetto. Così è per la "Casa degli autonomisti" o "Rassemblement", secondo le diverse dizioni di una lunga trattativa - fatta di alti e bassi - fra gli esponenti dello zoccolo duro dell'autonomismo valdostano, vale a dire - in ordine di apparizione - Union Valdôtaine, Alpe, Union Valdôtaine Progressiste e "Mouv'". Ognuno ha la sua storia: da un lato ci sono quelli che se sono andati dall'UV, altri da UVP, ma vi sono anche - perché quando ci sono delle novità capita - persone che hanno aderito ai singoli Movimenti provenendo da altre appartenenze, ma anche in certi casi da nessuna militanza politica attiva pregressa.
Quando è uscita questa idea del dialogo non avevo alcun pregiudizio, se non ovviamente che non potesse trattarsi di un "torna a casa Lassie", vale a dire - come fece il cane - un semplice ritorno all'UV, rimasta esattamente come personalmente l'avevo lasciata nel 2013 e che la "casa comune fosse" niente altro che la palazzina tipo western di Avenue des Maquisards. Se di questo si fosse trattato e uno a questo avesse aderito sarebbe stato più semplice chiedere di essere tesserato lì e fine della storia senza tanti giri. In verità le ambizioni parevano essere "alte" e cioè - a fronte di una situazione difficile che non sto a descrivere perché ben nota - si trattava di fare uno sforzo corale e mettere da parte elementi di divisione e personalismi e trovare una quadra per il futuro. Scottato da precedenti esperienze in cui fra il "detto" e il "non detto" esisteva un abisso e c'era chi immaginava percorsi, ma la destinazione era già stata decisa altrove, ho pensato subito che l'importante fosse non mettere il carro davanti ai buoi. E cioè che fosse solo un escamotage per far cadere il Governo Marquis e per posizionarsi bene per elezioni politiche e per raggiungere alle elezioni regionali il 42 per cento del premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale, che in soldoni dà più consiglieri regionali a chi raggiunge quella quota. Intendiamoci: non che questi punti siano osceni. Le alleanze elettorali sono importantissime e sono la prova che un certo progetto piaccia o meno ai cittadini (la cui volontà espressa nelle urne è stata spesso negletta in questa legislatura giunta alla fine) e - poiché Mouv' non è nel Governo Marquis, che pure ha votato sulla base di alcuni punti della mozione di sfiducia costruttiva che ha fatto cadere il Governo Rollandin - non esiste nessuno scandalo per un Governo in prospettiva con diverse geometrie politiche da quello attuale. Magari che perimetri meglio l'area autonomista storica ed abbia come punto di riferimento la competenza delle persone, ultimamente non molto di moda. Ma si trattava, con buonsenso, di capire che allo stato attuale far cadere il Governo, sostituirlo e preparasi alle elezioni era un collante piuttosto inconsistente, specie se non supportato da scelte coraggiose e leali su punti forti che facessero da fondamenta. Capisco che qui si entra in apparenti sottigliezze, ma non lo sono affatto. L'idea, condivisa in primis con Alpe, di effettuare un percorso vero e proprio, che partisse da quelli che personalmente ho battezzato "Etats généraux des Autonomistes" non era una questione di lana caprina. Perché nelle cose è sempre bene capire quale debba essere il punto di partenza. Esisteva - è vero - un documento che si sarebbe dovuto sottoscrivere che prevedeva il passaggio degli "Etats généraux", in cui almeno apparentemente si glissava abbastanza sul cambio di Governo, ma la realtà spesso è diversa dai documenti, perché ci sono altre cose e dialoghi paralleli che consentono che l'immagine sia messa bene a fuoco e non risulti sfumata per vederci meno. Ora, senza fare un processo alle intenzioni e notando che l'alternarsi di odio e amore nell'area autonomista rischi di fare affondare ogni credibilità, quel che conta è proprio il calcio d'inizio. E' giusto che un certo processo inizi dal vertice, sottoscritto dagli organi direttivi, per poi discendere come un atto di fede su grandi assemblee che si trovano la pappa pronta? Oppure, vista la posta in gioco, non sarebbe stato giusto, come non è stato, affrontare il popolo autonomista riunito e chiudere la porta, lavarsi il muso e costruire davvero l'avvenire su fatti concreti e non su quei documenti che sanno di vecchio, trito e ritrito, con una retorica che rischia di proporre una Valle d'Aosta in cui si soppesano solo aggettivi e avverbi? Questo per dire che, chiariti tutti questi limiti, il gioco sarà sempre quello di gettare la croce su chi non c'è stato, non per partito preso o per aver furbeggiato al tavolo, ma ha cercato di levare quella cortina di fumo che esisteva attorno al progetto. Non si può fare il conto senza l'oste, mossi da una fretta sospetta e dal rischio, appunto, che decisioni affrettate non siano comprese da chi conta: i cittadini valdostani, ormai straniti da questa sorta di "ballo della scopa" in cui chi si trova con la ramazza in mano, quando cessa la musica, si trova a subire la penitenza. Per cui, in un momento di già scarsa fiducia verso la politica, giochi come questo spingono verso scelte astensionistiche o protestatarie, che finiscono per mettere tutti sul carro dei perdenti, altro che vincitori! Tanto per dire - con chiarezza a chi vuole ascoltare, perché certe tifoserie sono pronte a digerire tutto - che chi pontifica o semplifica lo fa disegnando una realtà dei fatti a proprio uso e consumo, sempre avvolta da quell'elisir di lunga vita che è «l'interesse della Valle d'Aosta», che dovrebbe aiutare a digerire tutto. Eppure una "réunification" avrebbe un suo perché ma dovrebbe avvenire su basi nuove, immaginando che potrebbe funzionare solo con logiche di pluralismo interno di un futuro soggetto politico magari preceduto da meccanismi federativi, avendo in testa anzitutto i problemi della Valle con modalità di confronto vero, che pure non allunghino i tempi di decisione, facendo dell'onestà in politica un caposaldo. Ma con questi chiari di luna c'è poco da sperare in un processo "costituente".