L'analfabetismo di ritorno incombe e prolifera. Mi capita ogni giorno di verificare come questo fenomeno sia veritiero, che sia un documento, una mail, un sms, uno strafalcione sentito in un colloquio. Esiste un degrado palpabile che sul breve potrà fare sorridere, ma poi alla fine preoccupa. Mai come oggi l'accesso agli strumenti di apprendimento culturale è diffuso e disponibile, eppure qualche cosa gira storto, visti gli esiti. Così ammoniva Tullio De Mauro, il celebre linguista che ho avuto l'onore di conoscere nella sua breve esperienza governativa: «Quella principale è una tendenza d'ordine biologico e psicologico: data la natura selettiva della nostra memoria, si constata che in età adulta tendiamo a regredire di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti durante gli studi a meno che, ed è fondamentale, non continuiamo a esercitare quella competenza».
«Per esempio - prosegue De Mauro - nell'ultimo anno di liceo ci siamo inoltrati in argomenti non elementari di matematica ma, se non diventiamo bancari, geometri o ingegneri, la nostra matematica adulta si rattrappisce e, se va bene, torna ai livelli della terza media. Così avviene per ogni altro campo. Se non leggiamo libri o romanzi, di tutta la storia studiata restano brandelli sospesi nel vuoto: Pirro re dell'Epiro, Stilicone, trattato di Campoformio». Insomma: se non ci esercita in qualche modo, casca o meglio torna l'asino. E non lo dico con snobismo, anche se la cultura di base non dovrebbe essere una cosa di cui vergognarsi, ma perché l'analfabetismo di ritorno finisce per essere una forma di disabilità, che fa dei danni enormi anche per chi crede, ad esempio, che una democrazia compiuta presuppone cittadini consapevoli. All'inizio di quest'anno l'Istat aveva svolto una ricerca con un dato impressionante: così titolava "La Stampa", "Il settanta per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce)". Scriveva però, infilando il dito nella piaga, Mimmo Candito: «Non è affatto un titolo sparato, per impressionare; anzi, è un titolo riduttivo rispetto alla realtà, che avvicina la cifra autentica all'ottanta per cento. E questo vuol dire che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di tre di loro su quattro sono analfabeti: sembrano "normali" anch'essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell'unico di loro che non è analfabeta, e però sono "diversi". Qual è questa loro diversità? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in televisione e sul computer. Sono incapaci! La (relativa) complessità della realtà gli sfugge, colgono soltanto barlumi, segni netti ma semplici, lampi di parole e di significati privi tuttavia di organizzazione logica, razionale, riflessiva. Non sono certamente analfabeti "strumentali", bene o male sanno leggere anch'essi e - più o meno - sanno tuttora far di conto (comunque c'è un cinque per cento della popolazione italiana che ancora oggi è analfabeta strutturale, "incapace di decifrare qualsivoglia lettera o cifra"); ma essi sono analfabeti "funzionali", si trovano cioè in un'area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell'ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso - quasi sempre - non se ne rendono nemmeno conto». Ci vorrebbe "Non è mai troppo tardi", celebre trasmissione televisiva di Alberto Manzi, il maestro che teneva nella vecchia televisione in bianco e nero delle vere e proprie lezioni di scuola primaria, che andarono in onda fra il 1959 e il 1968. Il suo pubblico e la sua immensa classe di alunni "virtuali", era composta nelle intenzioni da persone adulte, il cui grado di analfabetismo era totale o comunque molto grave. Lo ricordo bene, quando prima dell'ora della cena; Manzi scriveva su di un grosso blocco di carta montato su cavalletto sul quale, chiacchierando in modo colloquiale, scriveva con un carboncino, lettere e parole. Io facevo le elementari e un maestro così me lo sognavo per la sua modernità di approccio. Ma oggi spopola Internet e l'illusione di una cultura di "pronta beva". Il sociologo Franco Ferrarotti ammoniva: «Sta crescendo l'analfabetismo degli alfabetizzati, la grande, irresistibile, a quanto sembra, ondata degli analfabeti di ritorno e degli aficionados di Internet, degli idiots savants che sanno tutto, che sono informati in tempo reale di tutto, ma non capiscono niente, fagocitati dalla stessa ricchezza dei dati non assimilati né assimilabili, storditi dalla rapidità medusizzante delle immagini».