Conosco il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di cui ho sempre apprezzato in tanti anni di lavoro negli stessi luoghi della politica a Roma, le doti di grande serietà e anche di un'ironia acuta, oltreché un attaccamento ai medesimi valori autonomisti, che fanno parte del suo legame con la Sicilia, di cui naturalmente credo conosca a fondo gli aspetti positivi e negativi (il fratello morì fra le sue braccia, vittima della Mafia). Ho apprezzato la secchezza, scevra di retorica, del suo discorso di fine anno, di cui vorrei riportare qualche passaggio: «Abbiamo di fronte, oggi, difficoltà che vanno sempre tenute ben presenti. Ma non dobbiamo smarrire la consapevolezza di quel che abbiamo conquistato: la pace, la libertà, la democrazia, i diritti. Non sono condizioni scontate, né acquisite una volta per tutte. Vanno difese, con grande attenzione, non dimenticando mai i sacrifici che sono stati necessari per conseguirle. Non possiamo vivere nella trappola di un eterno presente, quasi in una sospensione del tempo, che ignora il passato e oscura l'avvenire, così deformando il rapporto con la realtà. La democrazia vive di impegno nel presente, ma si alimenta di memoria e di visione del futuro».
Più avanti aggiunge: «Occorre preparare il domani. Interpretare, e comprendere, le cose nuove. La velocità delle innovazioni è incalzante; e ci conduce in una nuova era, che già cominciamo a vivere. Un'era che pone anche interrogativi sul rapporto tra l'uomo, lo sviluppo e la natura. Basti pensare alle conseguenze dei mutamenti climatici, come la siccità, la limitata disponibilità di acqua, gli incendi devastanti. Cambiano gli stili di vita, i consumi, i linguaggi. Mutano i mestieri, e la organizzazione della produzione. Scompaiono alcune professioni; altre ne appaiono. In questo tempo, la parola "futuro" può anche evocare incertezza e preoccupazione. Non è stato sempre così. Le scoperte scientifiche, la evoluzione della tecnica, nella storia, hanno accompagnato un'idea positiva di progresso. I cambiamenti, tuttavia, vanno governati per evitare che possano produrre ingiustizie e creare nuove marginalità. L'autentica missione della politica consiste, proprio, nella capacità di misurarsi con queste novità, guidando i processi di mutamento. Per rendere più giusta e sostenibile la nuova stagione che si apre». L'appello finale: «Si è parlato, di recente, di un'Italia quasi preda del risentimento. Conosco un Paese diverso, in larga misura generoso e solidale. Ho incontrato tante persone, orgogliose di compiere il proprio dovere e di aiutare chi ha bisogno. Donne e uomini che, giorno dopo giorno, affrontano, con tenacia e con coraggio, le difficoltà della vita e cercano di superarle. I problemi che abbiamo davanti sono superabili. Possiamo affrontarli con successo, facendo, ciascuno, interamente, la parte propria. Tutti, specialmente chi riveste un ruolo istituzionale e deve avvertire, in modo particolare, la responsabilità nei confronti della Repubblica». Posso dire - da federalista - che mi è molto piaciuto un altro augurio di fine anno, registrato nelle diverse versioni linguistiche, da Alain Berset, politico svizzero, Presidente della Confederazione svizzera per il 2018. C'è anzitutto un conprensibile afflato di appartenenza: «Peut-être que vous faites la même réflexion que moi: nous avons de la chance de pouvoir vivre ici, en Suisse. On le remarque quand on voit les images qui nous parviennent du reste du monde. Au fond, il n'y a rien de plus important que l'endroit où l'on est chez soi, où l'on se sent à la maison. Tout le monde a besoin d'un chez soi». Questo "chez-soi" a me piace molto, perché afferma un diritto di appartenenza, ma poi si sviluppa in termini molto schematici e pragmatici: «Cette année 2018, nous pouvons l'envisager avec confiance: la Suisse est un Pays stable et sûr, notre économie se porte bien: nous sommes particulièrement compétitifs, et nous nous intéressons les uns aux autres. Des milliers de personnes s'engagent bénévolement dans l'intérêt de la société. Je sais que nombre d'entre vous s'interrogent sur l'évolution de leur situation et sur la Suisse, avec des questions comme: "Qu'est-ce que les nouvelles technologies vont changer à mon travail?", "Est-ce que je vais garder mon emploi?", "Est-ce que j'aurai assez d'argent une fois à la retraite?", "Comment vais-je réussir à concilier famille et travail?", "Pourrai-je encore recevoir les soins médicaux dont j'aurai besoin?"». Poi la specificità di una democrazia: «Notre démocratie nous permet non seulement de nous poser ces questions, mais aussi, grâce à la démocratie directe, d'y répondre. Nous pouvons collectivement décider comment nous souhaitons vivre. C'est un grand privilège. Participer aux décisions veut dire discuter, et débattre. Et si justement la Suisse fonctionne si bien, c'est parce que chacune, chacun d'entre nous veut le meilleur pour notre Pays. Et les débats ne seront pas moins passionnés ces prochains mois, lorsqu'il s'agira d'aborder les questions qui sont sur la table: "Comment garantir l'égalité des chances? Dans le domaine de la formation, dans l'accès à l'emploi, dans la vie en général", "Comment promouvoir l'égalité entre les hommes et les femmes?", "Comment définir ou redéfinir nos relations avec l'Union européenne, qui est notre principal partenaire commercial?", "Ou encore comment garantir la stabilité financière de notre prévoyance vieillesse?"». Poi l'appello finale, anch'esso interessante: «Notre histoire le prouve: nous avons toujours su que ce qui nous unit est plus fort que ce qui nous sépare. Nous avons appris que renforcer les minorités, c'est renforcer le Pays. Avec notre démocratie, nous pouvons décider nous-mêmes si nos enfants auront une vie aussi belle que la nôtre, peut-être meilleure encore…». Credo che entrambi i discorsi riportino spunti interessanti.