Nel decalogo del buon papà c'è in Valle d'Aosta l'accompagnamento dei propri figli sulle piste di sci e, con il piccolo settenne che andrebbe ad uovo anche sulla pista nera più verticale, c'è da divertirsi e da non perdere il proprio sprint. Attitudine da tenere presente in tempi di rottamazione, in cui è bene "tenersi freschi" e ciò vale anche per i cimenti sulla neve e non solo in politica... Ed è anzitutto, in certe circostanze, un improvviso ritorno al passato, quando cioè i rudimenti dello sci venivano impartiti a ciascuno di noi. Capita di vedere - ed è una fortuna - vecchi filmati girati da mio papà in cui si ha coscienza non solo di quanto tempo sia passato, e questo ci sta per ragioni anagrafiche, ma anche quanto sia cambiato il costume e naturalmente le tecnologie.
Per cui mi vedo da bambino anzitutto con materiale per nulla tecnico, fatto di maglioni fatti con i ferri come il cappello, giacca a vento modello anteguerra e soprattutto scarponi in cuoio con lacci, sci di legno con attacchi a molla e famigerati bastoncini tipo bambù con rondella tenuta assieme da laccetti di pelle. Mi rivedo, senza il sonoro, arrancante a scaletta od a spina di pesce lungo declivi senza impianti di risalita, con discesa su neve improbabile piena di solchi e salti. Ma mi rivedo anche sui vecchi skilift, che ti davano una bella botta in partenza e sulle prime seggiovie, che ora ai tempi del confort appaiono spartane come lo erano davvero e la loro lentezza obbligava a dare coperte con cui coprirsi le gambe, immagino anche per colpa di abbigliamento per nulla tecnico. Quel che trovo sorprendente, essendomi occupato di impianti, non è solo l'incredibile evoluzione della tecnica - con qualche trappola annessa tipo il "chip elettronico" che blocca l'impianto per ragioni di sicurezza lasciando tutti appesi, mentre un tempo in qualche modo si faceva un recupero in stazione - ma la magia della bigliettazione. Ricordo la famosa "tessera punti", evolutasi poi nello stagionale svolazzante, seguito da modalità sempre più avanzate sino al caricamento - che ho fatto quest'anno - della carta di credito che viene rilevata al passaggio ai primi tornelli. Questo crea un'assoluta chiarezza sui passaggi ed ha consentito di differenziare alle tariffe e scegliere, come avviene in Svizzera, modalità "low cost" (ad esempio se fa brutto costa meno) per rispondere alle esigenze dello sciatore, che oggi - a differenza delle maratone su e giù del passato per sfruttare il giornaliero al massimo - scia in maniera più ragionata. Per altro non si può non aggiungere la qualità delle piste, fattesi ben più larghe e soprattutto ben battute, spesso fresate sino all'ultimo fiocco, mentre un tempo il vero esercizio non era tanto la ricerca della serpentina perfetta, quanto ingegnarsi per limitare i danni su muri in cui le gobbe sembravano essere infinite e insidiose. Il ghiaccio - lo si sappia - era ghiaccio e lo si vedeva a distanza, spesso con un'anima verdastra che metteva i brividi. Ricordo una gara di sci a La Thuile, da bambino, in una pista stretta, la cui cima si raggiungeva con un ripido skilift e la discesa fra i pali del gigante con gli scappavano da ogni lato: il momento più bello nei ricordi di quel giorno è il bicchiere di "Ovomaltina" all'arrivo. Ma certo già in passato la prima mediazione - mio papà era un ottimo sciatore, anzi atleta di sci alpinismo, ma smise per amore della professione veterinaria per paura di rompersi una gamba - era il maestro di sci, che ci situava a primo sguardo nelle diverse classi, sino alla agognata agonistica. Ai miei tempi ciò avveniva con delle stelline. Per imparare i diversi aspetti della socialità la scuola collettiva di sci aveva un suo perché, specie con i maestri che erano più spicci e più burberi di quelli di oggi e quel scendere uno dietro l'altro iniziando dal massacrante spazzaneve faceva parte di uno dei percorsi, specie se il corso di sci era di quelli scolastici che iniziavano e finiva sul pullman. Questo era propedeutico, non mi stancherò mai di scriverlo, alle sciate adolescenziali in compagnia, nel misto fra turisti e noi indigeni, che cementavano amicizie robuste e ricordo i "trigomiri" - scusate il piemontesismo - per salire in seggiovia con quella bella ragazzina milanese che sembrava non guardarci mai in pista, malgrado tentativi goffi di acrobazie. Uno di questi mi valse legamento crociato e menischi... La nostalgia è una brutta bestia, ma che bei ricordi, che alimentano il presente.