Bisogna sempre seguire il proprio cuore: sarà vero che non è, come pensavano gli antichi, la sede dell'Anima, ma è bello credere che non sia solo una pompa meccanica che ci tiene in vita e che invece talvolta in qualche modo ci guidi attraverso i sentimenti. All'indomani di una gioiosa festa con i miei compagni di classe del Liceo classico (III B) - che pare ormai un rito almeno semestrale - come non si può non riflettere sulle tante facce di quel sentimento che è l'amicizia. Ciò avviene in contemporanea con tanti attestati di amicizia che ho avuto - persino con mia commozione - per via di certe turbolenze politiche che ho affrontato con serenità. L'amicizia è appunto un caleidoscopio, che è quell'apparecchio fatto con due o più specchietti disposti ad angolo dentro a un tubo, dove si trovano alla rinfusa piccoli oggetti colorati: le riflessioni multiple formano immagini spesso simmetriche che mutano in modo imprevedibile e variabilissimo ad ogni movimento.
Così l'amicizia che può essere stabile come una montagna, ma anche variabile come l'arcobaleno, arriva e sparisce, si spegne e ritorna, sorge come un'alba o tramonta sino al buio, si manifesta come una luce che illumina la vita, rende solidali, allegri e pettegoli, aiuta con poco nelle circostanze difficili. Ognuno - se vuole - può aggiungerne un pezzo di suoi pensieri sull'amicizia e sulla sua varietà di espressioni, ma la sua importanza la si vede nel colore grigio e tetro di chi - e ne conosco - amici non ne ha e vive di conseguenza una situazione di naturale infelicità. E bisogna fare attenzione, in tempo di "social", all'abbaglio delle amicizie da "mi piace". Conosco persone che si "seguono" con assiduità per via digitale e non si salutano per strada! Ammoniva un grande vecchio come Zygmunt Bauman: «Un "Facebook-dipendente" mi ha detto: "ho fatto cinquecento amicizie e in un giorno": Io non le ho fatte in 86 anni. Ma quanti amici può davvero avere un essere umano? Risposta: 150, non di più. E' questo il "Numero di Dunbar", ovvero, la quantità massima di persone che possono far parte del nostro paesaggio emotivo. Andare oltre sarebbe un esubero, uno spreco di tempo». Uno dei mie compagni di scuola, Alberto Nicelli, mi ha segnalato - come chiosa di questa amicizia fra compagni di classe fatta di tante risate e lunghe chiacchierate, come se il tempo non fosse passato - questa poesia sull'amicizia di Primo Levi, scritta nel 1985: «Cari amici: qui dico amici nel vasto senso della parola: moglie, sorella, sodali, parenti, compagne e compagni di scuola; persone viste una volta sola o praticate per tutta la vita purché a noi, per almeno un momento, sia, stato teso un segmento, una corda ben definita. Dico per voi, compagni d'un cammino folto, non privo di fatica, e per voi pure, che avete perduto l'anima, l'animo, la voglia di vita. O nessuno, o qualcuno, o forse uno solo, o tu che mi leggi: ricorda il tempo, prima che s'indurisse la cera, quando ognuno era come un sigillo. Di noi ciascuno reca l'impronta dell'amico incontrato per via; in ognuno la traccia di ognuno. Per il bene od il male in saggezza o in follia ognuno stampato da ognuno. Ora che il tempo urge da presso, che le imprese sono finite, a voi tutti l'augurio sommesso che l'autunno sia lungo e mite».
Ovvio che la parte conclusiva si occupi dell'ultima parte della vita, che per Levi fu piena di quei fantasmi che lo portarono a uccidersi due anni dopo aver scritto questa poesia, ma il resto fotografa con intensità sentimenti validi per tutti dai primi anni di vita in poi. Quella logica dell'impronta, data e avuta, è l'esatta immagine dell'amicizia sincera.