Tutte le Alpi sono state interessate quest'anno da nevicate copiose, che servono come pretesto - per i critici del cambiamento climatico - per dimostrare l'indimostrabile, e cioè che quella del riscaldamento globale sarebbe una baggianata. I dati scientifici e la gran parte degli studiosi del problema a larghissima maggioranza dimostrano come, invece, episodi di "raffreddamento" di questo genere non inficiano quell'aumento delle temperature su base annua che cambierà molto il volto anche di zone alpine come la nostra. A meno che non si inverta il peso dell'incidenza delle attività umane in questa modificazione climatica, che pure è vero che si inserisce nel solco di modifiche secolari che hanno segnato - per meccanismi terrestri di alternanza climatica - pure il territorio valdostano e hanno modificato di conseguenza anche la vita delle popolazioni locali nella fisarmonica "caldo-freddo", di cui i ghiacciai e i loro spostamenti sono elemento evidente.
Due annotazioni ulteriori sono utili. Nella cronachistica valdostana le valanghe sono un autentico ed antico flagello con cui le popolazioni locali e per i viandanti in transito hanno dovuto convivere. Non è per nulla causale che, nelle annotazioni parrocchiali e in altri documenti d'epoca, ci siano descrizioni sommarie di case distrutte, persone o animali (il bestiame era fonte di sopravvivenza) falciati lungo un sentiero, eventi catastrofici in frazioni di paesi. Per cui, ovviamente, l'allarme di queste ore per nulla da sottostimare, ma neppure da amplificare come fosse una storia da tregenda, visto che per fortuna siamo attrezzati diversamente da società rurali di un tempo, quando tutto era ancora ben più difficile di oggi ed in certe circostanze non restava altro che la preghiera come conforto. Anche se, beninteso, allora situazioni pericolose nuove, legate allo sci, non esistevano, visto che questo sport è giovanissimo e neppure esisteva la questione di controllo delle strade carrozzabili, visto che la loro costruzione è in larga parte stata realizzata nel dopoguerra e si sposa con la motorizzazione che ha molto cambiato la società alpina. La Valle d'Aosta ha censito con il "Catasto valanghe" la situazione sulle proprie montagne e il numero sfiora le duemila situazioni di cui si ha contezza. La mappatura del rischio è ben presente e personalmente ho vissuto casi in cui mi trovavo - interloquendo con delle persone che venivano inserite con abitazioni o terreni nelle zone a rischio - di fronte a chi contesta certe scelte tecniche, spesso con la motivazione che «da molto tempo quella valanga non cade più». Per altro basta informarsi per vedere come la pericolosità possa essere latente e svilupparsi solo a fronte di certe nevicate e lo dimostra, per esempio nella Valle del Lys, la distruzione in passato di abitazioni antiche. Certo, viene in mente la solita poesia di Giosuè Carducci: «Su le dentate scintillanti vette, Salta il camoscio, tuona la valanga, Da' ghiacci immani rotolando per le Selve croscianti», che dimostra come la valanga fosse nei luoghi comuni ottocenteschi. Che fosse un problema fin dal passato più remoto lo dimostra l'etimologia, scienza che ci permette di scavare nelle parole. Infatti Colin Fraser, nel suo "L'enigma delle valanghe" scrive: «Le origini dei nostri attuali termini "valanga" e "slavina" sono da ricercarsi nella lingua latina. Nei testi antichi erano chiamate "labinæ" o "lavanchiæ". "Lavanchiæ" è probabilmente di origine pre-latina, forse ligure, ed ha la stessa radice di "lave" che significa scorrere di fango o lava. Molto più tardi la confusione con il vocabolo francese "aval" (che significa "verso valle, all'ingiù") produsse l'attuale vocabolo "avalanche", usato in inglese e francese, da cui deriva "valanga" in italiano. Il termine si potrebbe applicare alla caduta di qualunque materiale, ma quando lo si usa senza specificazioni ci si riferisce sempre alla caduta di neve. L'altro vocabolo latino "labinæ" deriva da "labi" che significa "slittare, scivolare giù". In seguito la parziale intercambiabilità delle lettere "b", "v" ed "u" originò molti termini propri di particolari regioni alpine come "lauie", "lavina", "lauina" e infine l'attuale vocabolo tedesco "lawine", introdotto nell'uso corrente da Schiller e Goethe, da cui deriva il termine italiano "slavina"». Chi ha avuto l'occasione di vedere da vicino - ed io sono fra questi - il distacco di una valanga o di osservarne gli esiti successivi sul posto, compresi purtroppo i morti e la distruzione che dimostra la terribile forza d'impatto, non può che osservare davvero come la neve abbia questa sua duplice valenza: nulla è più bello e rilassante del silenzio felpato di una bella nevicata e nulla è più terribile del rombo di una valanga che precipita a Valle, portando con sé la distruzione. Verrebbe da dire che è così la vita nei suoi due corni, il bene e il male.