Sarà l'ossessione imperante da "app" meteo, che non ha nulla a che fare con le previsioni d'antan alla Edmondo Bernacca, che avevano una cadenza serale e di breve respiro e di straordinaria umanità, ma oggi, infatti, i siti specializzati - nel Paese in cui l'ufficialità è ancora incredibilmente in parte in mano all'Aeronautica Militare - si moltiplicano a dismisura. E con essi si moltiplicano notizie che si evolvono anche sul breve, ma soprattutto si spingono così in là da rendere dubbio ogni reale fondamento scientifico. Certo, è che guardare come sarà il tempo è una delle ossessioni contemporanee, ma il tema si afferma come uno dei contorni della nostra esistenza.
Scriveva qualche giorno fa su "La Stampa", rispondendo ad un lettore incuriosito, il mio amico climatologo con il farfallino, Luca Mercalli: «Quella delle mezze stagioni che non ci sono più è un'affermazione vecchia di secoli. La cita infatti Leopardi, rifacendosi però alle "Lettere familiari" dell'accademico della "Crusca" Lorenzo Magalotti, del febbraio 1683. Entrambi vissero nella "Piccola Età Glaciale" e avevano più ragione di noi a lamentarsi del "freddo che acquista terreno". Oggi la situazione è ben diversa: rispetto a quei periodi le temperature medie sono aumentate di un paio di gradi, siamo ben vestiti e viviamo in confortevoli case riscaldate. Resta però la natura capricciosa della primavera, che tutti gli anni ci stupisce come non l'avessimo mai conosciuta. A sorprenderci sono soprattutto le ricadute di freddo come quella di questi giorni, che tuttavia per i nostri climi sono più normali di tante fiammate di precoce caldo estivo viste nei tempi recenti di riscaldamento globale (2003, 2007, 2009, 2011, 2012, 2017). Forse le mezze stagioni che tanto cerchiamo non sono mai esistite, e tanto meno esisteranno in un clima futuro che sembra annunciarsi più estremo». Giusto, naturalmente. Anche se questa storia delle mezze stagioni appartiene alle chiacchiere a colpo sicuro su cui esiste l'unanimità e nella chiacchiera da bar o da sala d'aspetto si può ciacolare sul tema senza stridori. Fatto ormai rarissimo in un mondo in cui la logica "cane e gatto" dilaga. Per altro, se l'esperto ha ragione resta fatto che, anche in assenze delle attese temperature primaverili, c'è chi se ne fa un baffo e si comporta come se tutto fosse ormai mite in mezzo alle montagne valdostane. Che cosa fa primavera? Comincerei con un tratto peculiare: nei prati del fondovalle, appaiono le squadre degli sport popolari valdostani - tsan, rebatta e fiolet - che sono un oggetto misterioso per i turisti che si stupiscono, fermandosi a guardare. Noi sappiamo bene quanto si tratti di un caposaldo delle tradizionali locali: una sopravvivenza di giochi antichissimi, che hanno mantenuto il loro nocciolo duro con poche concessioni alla modernità. Un altro segno della primavera sono le aree picnic della Regione, dove - neve permettendo - già a Pasquetta, per rispettare la tradizione in spregio alle temperature - sono apparsi gli esperti di grigliate all'aperto, che non demordono perché più che il tempo guardano al calendario. Ho visto tavolate agguerritissime a Tzanté de Bouva a Fénis con cibarie, bevande e attrezzature degne di un rifugio antiatomico di un pessimista. Altro segno, in verità più a rilento proprio per il meteo e forse per la notizia che le strade delle vallate laterali sono tipo il suolo lunare, riguarda i motociclisti: un turismo che sceglie in primavera la Valle d'Aosta per via degli itinerari alpini con curve adatte per i biker. Poi la primavera distingue, certo se c'è il sole, lo sciatore tardivo dal resto del mondo per via della sua abbronzatura. Ricordo gli anni in cui fra gli aficionados dello sci primaverile su neve trasformata - il top in assoluto - proprio per abbronzarsi divenne di moda una crema per mungere le mucche, l'"Eutra", che causò all'epoca grandi ustioni. Intanto, ancora nelle ultime 24 ore, la conferma che i proverbi, segnalando la variabilità del tempo, non fanno altro che raccontare la verità. Comunque, se la primavera "vera" arriverà, con la sua leggerezza vitale, vale la strofa di Jacques Prévert: «Une minute de printemps, dure souvent plus longtemps, qu'une heure de décembre, une semaine d'octobre, une année de juillet, un mois de février».