Leggo sempre con interesse - perché il tema non è da sottostimare - dell'evoluzione nel tempo del "bullismo". In questi ultimi giorni, come capita con notizie che ne gemmano altre simili, si è posto l'accento su professori messi sotto da bulli con esibizione della loro preda con filmatini da social. Un allargamento di una tipologia che pareva essere una storia più fra ragazzi che nel rapporto con gli adulti. Infatti l'Osservatorio Nazionale dell'Infanzia così definisce il fenomeno: "Diciamo che un ragazzo subisce delle prepotenze quando un altro ragazzo, o un gruppo di ragazzi, gli dicono cose cattive e spiacevoli, riceve colpi, pugni, calci e minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese e parolacce, quando nessuno gli rivolge mai la parola. Questi fatti capitano spesso e chi subisce non riesce a difendersi. Si tratta sempre di prepotenze quando un ragazzo viene preso in giro ripetutamente e con cattiveria".
Alla fine, almeno sull'origine della parola "bullo" cala la nebbia, perché c'è chi scrive «che deriva probabilmente dall'alto tedesco: "bule, amico intimo" - accezione che, discendendo l'Italia da Venezia verso Roma, si è avvicinata, specie attraverso la letteratura, al giovane prepotente, al bellimbusto». Oppure: «L'etimologia del termine bullismo è da ricondursi all'olandese "boel, fratello", successivamente trasformatosi in area anglosassone in "bully" che, in origine, significava "tesoro", rivolto a persona. Quindi, il termine "bullo", da cui "bullismo", non aveva un'accezione negativa, anzi, da originario sinonimo di "bravo ragazzo", si è capovolto fino a trasformarsi in sinonimo di "molestatore di deboli"». O ancora: «Il termine "bullismo" deriva dall'inglese "bullyng" che interpreta in modo efficace quella situazione relazionale in cui, contemporaneamente, qualcuno prevarica e qualcun altro prevaricato, con prepotenze di vario tipo ed intensità. Quindi, con il termine "bullismo", si riuniscono in una categoria unica sia gli aggressori che le vittime, secondo una prospettiva sistemica nella quale ogni azione di un soggetto determina una "retroazione" nell'interlocutore in grado, a sua volta, di condizionare l'azione successiva». Forse, sull'espressione "bullo", ha ragione Federico Albano Leoni, quando scrive con chiarezza: «Nell'immaginario linguistico italiano degli ultimi decenni la parola "bullo" evoca una figura considerata tipicamente romanesca, rappresentata, oltre che dal Giggi di Petrolini, da personaggi bonari di film popolari, come "Poveri ma belli", o da personaggi tragici e disperati come i giovani dei romanzi romani di Pier Paolo Pasolini. Ma la storia di "bullo" mostra non solo che la sua romanità è recente (e che ci troviamo quindi di fronte a un caso di acclimatamento culturale e linguistico), ma anche che la parola fa parte di un campo lessicale cosmopolita». Fatto sta che il bullismo c'è e c'è sempre stato dalle scuole elementari all'Università ed anche sui posti di lavoro dove viene chiamato "mobbing", quando non coinvolge più giovani in età scolare ma persone di tutte le età. Ma torniamo appunto ai giovani ed all'impressione assai sgradevole che ci sia stata nel tempo una progressiva fragilizzazione, proprio mentre giustamente si sono accesi i fari e tante contromisure per contrastare questo fenomeno. La prima fragilità è il ruolo delle famiglie: l'ho vissuto come padre. Esiste un "perdonismo" ed una tolleranza amplissima di molti genitori verso i figli, cui non si dice mai di «no» e rispetto ai quali si assume sempre la linea difensivista, anche quando i fatti sono evidenti e cioè è visibile nel bullismo come nei crescenti fenomeni di teppismo verso i beni pubblici. Ma anche le autorità sono lasse: a scuola - lo abbiamo visto con qualche professore assurto alle cronache - non esiste quel nerbo e il polso che servono ad evitare di farsi mettere i piedi in testa. Non si tratta di autoritarismo, ma di autorevolezza e senso della disciplina, che una volta persa apre al caos. Questa è la realtà quotidiana, poi esistono i convegni sul tema, gli approfondimenti scientifici, le misure di supporto e di accompagnamento. Ma tutto ciò non si risolverà solo in una dimensione pubblica delle vicende, ma anche nell'assunzione di responsabilità soggettiva di tutti quelli che si troveranno a ruotare attorno al bullo, ai suoi problemi e ai problemi che crea agli altri.