Ovvio che non si finisca mai di imparare e di trarre opportuni insegnamenti anche da idee con cui costruire pensieri, che si arrampicano come scimmie nel nostro intelletto. Così leggo un articolo stimolante di un filosofo sudcoreano che insegna all'Università di Berlino, Byung-Chul Han, pubblicato su "Internazionale". Racconta una storia bizzarra che riguarda gli orientali ed il loro approccio con le copie, partendo da alcuni esempi. Uno fra questi racconta di quando nel 2007 il famoso esercito di terracotta, fatto di statue del Mausoleo del primo imperatore Qin a Xi'an che dovevano accompagnarlo nell'Aldilà, venne spedito per una mostra al Museo di etnologia di Amburgo. Si scoprì con uno scandalo che si trattava di riproduzioni contemporanee ed i cinesi non compresero il comportamento stizzito dei tedeschi che annullarono la mostra.
Spiega l'autore nel suo articolo: «In Cina esistono due diverse idee di "copia". Il "fangzhipin" è un'imitazione dichiarata, in cui la differenza fra originale e copia è ovvia. Ne sono un esempio i modellini o le statuette che si possono acquistare nei negozi dei musei. L'altro tipo di copia è il "fuzhipin". In questo caso si tratta di una riproduzione esatta dell'originale che, per i cinesi, ha lo stesso valore dell'originale. (...) Spesso i cinesi mandano all'estero delle copie al posto degli originali nella ferma convinzione che non ci sia una differenza sostanziale. Il conseguente rifiuto che arriva dai musei occidentali è percepito dai cinesi come un insulto». Caso interessante di relativismo culturale e cioè come altri popoli percepiscano la medesima cosa - in questo caso la copia - con un approccio diverso, che può innescare evidenti equivoci ed incomprensioni. Altro caso citato è il grande santuario scintoista di Ise che per i giapponesi ha 1.300 anni. In realtà viene del tutto ricostruito ogni venti anni e per questo l'Unesco lo ha eliminato dall'elenco dei siti "Patrimonio dell'umanità". Ovviamente, spiega Byung-Chul Han, la cultura giapponese la vede diversamente: «Potremmo addirittura dire che la copia è più originale dell'originale, o che è più vicina all'originale dell'originale, perché più l'edificio invecchia, più si allontana dallo stato in cui era quando è nato. Una riproduzione lo riporta, per così dire, al suo stato originale, soprattutto perché non è legato a nessun particolare artista». Insomma da noi si usano la conservazione e il restauro, mentre da loro gli originali si preservano attraverso le copie. Due modalità molto diverse, impronte di differenti modi di porsi: da una parte il culto dell'originale con una museizzazione del passato, dall'altra la riproduzione continua che annulla la differenza fra originale e copia e fa ripartire tutto da capo. Trovo molto interessante usare i due esempi per ragionare da noi sul patrimonio autonomistico, che è anch'esso una costruzione culturale che rischia sempre di piegare il senso della Storia in una logica deterministica. Questo vorrebbe dire che l'Autonomia di oggi sarebbe in fondo una sorta di cammino positivistico che ha portato, per tappe, all'affermarsi ineluttabile dell'Autonomia speciale di oggi. Questo creerebbe una sorta di museo mentale, fatto di momenti netti e ben visibili simili a antichi cimeli nella loro naturale evoluzione. Mentre in realtà non è una visione così scontata, perché da un lato si rischierebbe sempre di guardare al passato con una idea quasi mitica del tempo che fu, mentre è sempre stato un divenire senza certezze. Invece, dall'altra, si rischiano di creare immagini contemporanee che sono copie del passato ad uso strumentale del presente e a sua giustificazione. Due estremi che, almeno nella mia speranza, possono prevedere una sintesi: la buona conoscenza del passato, con le sue contraddizioni e il racconto di un percorso per nulla lineare e scontato, che ci obbliga a considerare la nostra Autonomia come qualcosa che non è mai ricopiabile e ripetibile. Ogni epoca, pur tenendo conto di quanto avvenuto, deve dare dimostrazione di una sua originalità nella costruzione della "propria" Autonomia, sapendo che è un obbligo quello di valutare il contesto dell'epoca in cui si vive, come condizione di sopravvivenza di un buon spirito di autogoverno adattato ai tempi e non anacronistico. Smetto di arrampicarmi...