Dal "Vangelo" di Giovanni. Lo ricordate? "E Gesù se ne andò al monte degli Ulivi. Ma sul far del giorno tornò di nuovo nel tempio e tutto il popolo venne da lui; ed egli, postosi a sedere, li ammaestrava. Allora i farisei e gli scribi gli condussero una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, dissero a Gesù: «Maestro, questa donna è stata sorpresa sul fatto, mentre commetteva adulterio. Ora, nella legge Mosè ci ha comandato di lapidare tali donne; ma tu, che ne dici?». Or dicevano questo per metterlo alla prova e per aver di che accusarlo. Ma Gesù, fingendo di non sentire, chinatosi, scriveva col dito in terra. E, come essi continuavano ad interrogarlo, egli si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»".
"Poi, chinatosi di nuovo, scriveva in terra - si legge ancora - Quelli allora, udito ciò e convinti dalla coscienza, se ne andarono ad uno ad uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; così Gesù fu lasciato solo con la donna, che stava là in mezzo. Gesù dunque, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quelli che ti accusavano? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». Gesù allora le disse: «Neppure io ti condanno; va' e non peccare più»". Questa era la Palestina di duemila anni fa, di cui sono imbevute le Sacre Scritture: per noi cattolici, ma vale anche per il laico di fronte alle proprie convinzioni ed ai propri valori senza chiamare in causa la fede, quel che conta è questo invito evidente all'umiltà del «chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra» di fronte - sia detto per inciso - a quel fenomeno di lapidazione purtroppo ancora ben presente in alcuni Paesi, specie laddove si applica la "Sharia", la legge islamica. Ci pensavo rispetto al riapparire con evidenza - non solo in politica - di fenomeni di razzismo e di xenofobia, di violenza gratuita squadristica e di intolleranza verso ogni diversità, di mancato rispetto di principi essenziali del Diritto (ed evangelici per chi sostiene di attenersi ad essi), di riesumazione di vecchie ideologie e di riabilitazione di dittature che hanno avvelenato il mondo, che ti spingono ad un esame di coscienza sul che cosa alberghi in ciascuno di noi per essere piombati in questa situazione e soprattutto in chi segue certe piste ed evoca certi fantasmi. Anche a me può capitare una battuta stupida o un apprezzamento sbagliato - nessuno può essere una vergine del "politicamente corretto" - ma questo è ben diverso da certa aria di questi tempi, che spalanca baratri di ignoranza, perfidia e disumanità, come se si trattasse ormai non solo della normalità, ma pare ci sia la ricerca della sensazione del "spararla più grossa" per dare la stura ai sentimenti più bassi e viscerali. Vorrei esprimere qui il mio senso di ribellione e di preoccupazione, che non è affatto buonismo, ma paura rispetto alla mancanza di regole, all'indifferenza fra diritti e doveri, e soprattutto all'incapacità di rispettare gli altri. Questo certo non significa "calare le braghe" rispetto al nostro patrimonio culturale ed ai fondamenti del vivere civile. Ma certi principi non hanno nulla a che fare con il rischi di rendere virale l'odio: è facile accendere dei fuochi, più difficile - dopo averli fatti propagare - è spegnerli. Scriveva Umberto Eco: «L'odio può essere collettivo, e deve esserlo per i regimi totalitari, così che da piccolo la scuola fascista mi chiedeva di odiare "tutti" i figli di Albione e Mario Appelius recitava ogni sera alla radio il suo "Dio stramaledica gli inglesi". E così vogliono le dittature e i populismi, e spesso anche le religioni nella loro versione fondamentalista, perché l'odio per il nemico unisce i popoli e li fa ardere tutti di un identico fuoco. L'amore mi scalda il cuore nei confronti di poche persone, l'odio riscalda il cuore mio, e quello di chi sta dalla mia parte, nei confronti di milioni di persone, di una nazione, di un'etnia, di gente dal colore o dalla lingua diversa. (…) L'odio non è quindi individualista bensì generoso, filantropico, e abbraccia in un solo afflato immense moltitudini. E' solo nei romanzi che ci viene detto come sia bello morire per amore; di solito è raffigurata come bellissima la morte dell'eroe che lo coglie mentre scaglia una bomba contro l'odiato nemico. Ecco pertanto perché la storia della nostra specie è stata sempre maggiormente segnata dall'odio, e dalle guerre, e dai massacri, e non dagli atti d'amore (meno confortevoli e spesso faticosissimi qualora si vogliano estendere oltre la cerchia del nostro egoismo). La nostra propensione alle delizie dell'odio è così naturale che risulta facile coltivarla ai reggitori di popoli, mentre all'amore ci invitano solo esseri scostanti che hanno la disgustosa abitudine di baciare i lebbrosi». Ovvio il ricorso al paradosso, ma certo bisogna interrogarsi su che cosa ci circondi e si affermi come un nuovo modello che ci peggiora.