Ho conosciuto tempo fa il giovane sacerdote, Salvatore Sciannamea, da cui dipendono le parrocchie di Champdepraz e di Issogne, dove essere parroco - specie nel dopoguerra - non era stato certo facilissimo per i suoi predecessori, visto che si trattava di Comuni "rossi" con il rischio di situazioni simili ai celebri libri di Don Camillo e Peppone dei libri di Giovannino Guareschi, poi trasposti in memorabili film con Fernandel nei panni del prete che parla con il Signore e Gino Cervi del sindaco comunista che diventa deputato. Ma ci fu chi, come Don Eraldo Segafredo, uno dei primi preti operai, scrittore e stampatore di memorabili bollettini parrocchiali, angosciato dalla diffusione della droga che portava la morte fra i giovani issogneins e grande organizzatore di gite per ragazzi e famiglie, proprio ad Issogne riuscì a seminare la fede anche laddove appariva non semplice farlo.
Don Salvatore - di recente prorogato per un anno qui in Valle - è una persona sempre sorridente, con la sua bella barba e gli occhi anch'essi ridenti con una capacità oratoria non comune nelle sue omelie, ricche di suggestioni culturali, ma soprattutto dotato di una capacità di penetrazione notevole nell'impiego dei Social, per cui si potrebbe dire che è un prete attento a questi mezzi di comunicazione in cui esprime la sua forte impronta di una religiosità forte, ma con un occhi sempre al... sociale. Arrivato dalla Puglia, "in prestito" alla Diocesi di Aosta (tecnicamente si parla di "fidei donum" della Diocesi di Andria), dove - com'è noto - esiste un problema serio di vocazioni e questo obbliga il Vescovo Franco Lovignana ad ingegnarsi, da una parte con l'impiego di preti di veneranda età che restano in servizio, ma anche con accorpamenti di parrocchie sotto lo stesso sacerdote, oltre all'accoglienza di preti di provenienza da fuori Valle, anche di nazionalità diversa da quella italiana. Per l'antica Église valdôtaine - uno dei fulcri della storia e della cultura valdostana - è questo un problema nuovo, che si registra un po' ovunque nel mondo occidentale, ma che colpisce pensando a come un tempo il Seminario valdostano fosse una fucina sempre funzionante per la numerosità di chiamate verso il servizio sacerdotale. Trovate su "Amazon" delle pubblicazioni di Don Sciannamea, lo trovate con molti scritti su "Facebook" (che dimostrano come si sia inserito facilmente fra le nostre montagne e nelle sue comunità) e spiccano in particolare dei filmati molto belli sul suo canale "YouTube" e scrive anche per "Canosa Web". Vorrei pubblicare uno dei suoi ultimi scritti "Adda passà 'a nuttata!", perché ricco di umanità e della capacità di effettuare dei link suggestivi fra il mondo laico e quello religioso. Ecco il testo: «Cosa può esserci in comune tra San Giovanni della Croce, mistico spagnolo del XVI secolo, ed Eduardo de Filippo, attore e regista di commedie? Verrebbe da dire nulla, ma, guardando "Napoli milionaria", celebre successo mondiale del commediografo napoletano, ho pensato più volte a San Giovanni della Croce. "Adda passà 'a nuttata!" ("deve passare la nottata"): nella commedia è quella della prova di una figlia che rischia di morire, del figlio maggiore che rischia di andare in carcere, di una moglie che ha tradito la fiducia del marito e la semplicità della vita di sempre. San Giovanni della Croce parlava di altre notti che devono passare. Parlava della fede che chiedeva, nella sua radice, la notte dell'intelligenza; della speranza che richiedeva quella della memoria e della notte della volontà che aspirava alla luce dell'amore. San Giovanni della Croce insegnava che ci sono altre notti più tremende; quelle della fede dove domina la sfiducia; la notte della speranza, in cui si è abitati dalla disperazione; e quella della carità nella quale la fiamma d'amore viene meno. E' attraverso la notte che ci si prepara alla vita spirituale, è nella notte che si compie il matrimonio mistico dell'anima con Dio. E' nella notte di Edoardo che ci si riscopre famiglia, è in quelle lacrime che si apre una luce che aspira agli autentici valori. E' nella notte che nasce il credente, è dalla notte che si raggiunge la santità. E' dalla notte della croce che si giunge alla nuova alba di resurrezione. E' dalla notte che nasce il giorno. La notte laica di Edoardo e la notte spirituale di San Giovanni della Croce passano, per lasciare spazio alla luce del giorno, della speranza, della fiducia e della rinascita. Dunque fratello che piangi, che sei triste, solo e disperato dico anche a te: "Adda passà 'a nuttata!"». Quanto è vero che le notti sono una strana fabbrica di pensieri. Dormo un po' meno di quanto avvenisse in passato e proprio quelle ore in cui la notte si trasforma in giorno sono le ore più feconde per alimentare pensieri e idee. Anche certi brutti pensieri, come fantasmi venuti a bussarti con il buio, possono in qualche modo sparire ed essere sostituiti da qualche luce di speranza, anche a fronte di questioni complesse o preoccupazioni. Ha ragione Elias Canetti quando scrive di questo spazio libero che ci serve per rinascere l'indomani: «I giorni vengono distinti fra loro, ma la notte ha un unico nome».