Sia chiaro quanto i libri di storia - dalla saggistica ai romanzi - siano un appiglio importante nei momenti che appaiono complessi: il passato non è solo una chiave di lettura che vale per quel che è stato, ma serve anche per leggere il presente, specie quando questo passa rapido sotto i nostri occhi e risulta di difficile comprensione. Penso alle caotiche situazioni italiana e pure di riflesso (e anche per responsabilità in proprio) valdostana, che ci obbligano a resettare i nostri pensieri, partendo da alcune certezze e fra queste la conoscenza del vissuto e il suo peso contro l'ignoranza, che è tenebra. Mi fa piacere, di conseguenza, che per una volta - prima di sapere a chi fosse stato assegnato il prestigioso Premio letterario "Campiello" - avessi già letto anzitempo l'autrice che lo ha stravinto, la scrittrice Rosella Postorino con il suo "Le assaggiatrici" ("Feltrinelli").
Avendo molto apprezzato questo romanzo, mi fa sorridere che sia rientrato nelle polemiche politiche in un'epoca di revisionismo in cui chi si dice antifascista (persino antinazista...) deve ormai quasi giustificarsi e - per evitare i benaltristi - precisare che questo vale per qualunque dittatura di qualunque colore essa sia stata. Mi spiego meglio, partendo da una nota in calce che la scrittrice pubblica a conclusione e che così suona: «A settembre del 2014 lessi su un giornale italiano un trafiletto a proposito di Margot Wölk, l'ultima assaggiatrice di Hitler ancora in vita. Frau Wölk aveva sempre taciuto riguardo alla sua esperienza, ma all'età di novantasei anni aveva deciso di renderla pubblica. Il desiderio di fare ricerche su di lei e la sua vicenda fu immediato. Quando, qualche mese dopo, riuscii a trovare il suo indirizzo a Berlino, con l'intenzione di inviarle una lettera per chiederle un incontro, appresi che era morta da poco. Non avrei mai potuto parlarle, né raccontare la sua storia. Potevo però provare a scoprire perché mi avesse colpita tanto. Così ho scritto questo romanzo». Per cui è vero che si disegna il cupo periodo del tramonto del nazismo e le torbide manie di quella carogna di Adolf Hitler che aveva davvero assaggiatrici dei suoi piatti per evitare di essere avvelenato con il cibo, ma non c'è politica e polemica nella trama, ma un racconto intenso e dolente in cui alla tragedia della guerra si somma una storia personale intrisa di vicende parallele che disegnano la miseria umana nei momenti di disperazione, con sprazzi che colorano scenari altrimenti solo lugubri. Chiunque abbia avuto la fortuna di avere parenti e amici che hanno vissuto quegli anni non può che capire come non serva buttare certe storie in scontro ideologico, perché i fatti, le persone, i dolori e le tragedie parlano da sole. Chi si sforza di arrampicarsi sugli specchi per giustificare orrori e misfatti, cercando di smussare gli angoli per convenienza e di colorare il grigio degli avvenimenti con chissà quale recondita medaglia potrà bearsi delle sue convinzioni, ma lo fa sfidando la logica e in spregio alla realtà. Per altro - lo ripeto - quel che scrive Postorino è una storia bella e commovente, che si snoda anche negli anni successivi e conferma, per altro, quanto io stesso ho visto. Ho avuto un nonno paterno, Emilio, che viveva, alla fine della sua vita, certi fantasmi della guerra di Libia prima e della Grande Guerra poi. E certi spettri apparivano anche nella storia personale - da antifascista - di mio papà Sandro: certe prove vissute appena ventenne colpiscono più di ogni altra cosa e sono zaini che si portano sulle spalle nel resto della propria vita. Di questo dovrebbero avere contezza gli esaltatori dei nazionalismi che diventano facilmente guerrafondai e di tutte le ideologie (tutte!) che hanno cagionato sofferenze e violenze nel giusto distinguo - in certi passaggi - fra chi si è battuto contro mostri come il fascismo ed il nazismo. Ma si sa e si vede come esista una smemoratezza, che spinge l'umanità ad errori già compiuti, come se la Pace fosse - lo dimostrano i dati e le troppe guerre che infiammano ancora, mentre leggete, il mondo - l'eccezione rispetto ad un istinto distruttivo, descritto con la formula "Bellum omnium contra omnes" ("La guerra di tutti contro tutti"), inventata - nel descrivere le storture della natura umana - dal filosofo Thomas Hobbes. Per cui leggere - come avviene attraverso il libro sulle assaggiatrici di Hitler - dei particolari apparentemente minuti di vicende minori, piccolo tassello di un mosaico enorme di un periodo storico neppure così remoto, finisce per essere, per chi lo volesse, una spinta per saperne di più a difesa di un diritto, quello alla Memoria come elemento che ti tiene vigile. I cattivi spesso emergono - lo dice propria la Storia - sfruttando la logica del "Divide et impera" ("Dividi e comanda") di tutti gli altri e facendosi forti anche di quella ignoranza, che scade in alcuni in asineria, che genera l'oblio su cui prospera il male.