La Lega è diventata un partito nazionale, perdendo - almeno per ora - quella caratterizzazione di partito territoriale del Nord così com'era nato, persino con spinte che in determinati momenti sono state con chiarezza indipendentiste. Ricordo bene questa impostazione senza "se" e senza "ma" per averla vissuta nei banchi a fianco ai loro sin dall'esordio parlamentare della Lega e poi, partecipando anche a loro manifestazioni, quando bastava dire la parola "Italia" per avere bordate di fischi dei militanti che agitavano l'appartenenza nordica come un feticcio con derive anti-meridionalistiche ben documentate. Questa svolta, lasciato il terreno federalista che fu imprinting del rapporto storico degli esordi con l'Union Valdôtaine, ha spostato la Lega sul terreno del nazionalismo sovranista e lo si vede dai rapporti con forze politiche a livello europeo, il cui caso più eclatante è l'amicizia in Francia con il Rassemblement National di Marine Le Pen, nato sulle ceneri di quel Front National fondato da suo padre.
L'espansione, prima al Centro nelle Regioni "rosse", ma soprattutto al Sud, ha cambiato il volto del partito e, specie nel Mezzogiorno, il successo elettorale apre problemi seri di rapporti con i milieu locali, specie dove comanda la malavita organizzata, che smazza voti e candidati. Qualche guaio su questo tema emerge già dalle cronache di questi giorni. D'altra parte la tattica di Matteo Salvini che dalla bandiera padana e dalle acque del Po di bossiana memoria è svoltata verso il tricolore e con occhio di riguardo alla destra anche estrema come "CasaPound", sembra aver sortito il partito da un rischio di estinzione, dopo una serie di scandali finanziari la cui onda lunga è ancora presente in inchieste della magistratura. Oggi, con un Silvio Berlusconi imbalsamato, il leader leghista mira a prendere in mano il centro-destra e questo porrà problemi seri nei rapporti con i "Cinque Stelle", attualmente in mano al leader campano Luigi Di Maio, che ha spostato a sua volta l'asse dei "pentastellati" che avevano prima nel genovese Beppe Grillo, che resta un nume tutelare, messo per ora nella scatola dei ricordi. L'impressione è che questa impronta sudista, certificata dal "reddito di cittadinanza" e dalla logica che ripropone in certi passaggi - pensiamo al gasdotto in transito in Puglia (dove si sommava anche la storia della "Xylella", il parassita degli ulivi secolari) ed alle lunghe polemiche sull'acciaieria di Taranto - fantasmi neoborbonici di un Sud "buono" contrapposto ai grandi potentati del Nord e dell'Europa brutta e cattiva. Questa spinta meridionalista, per nulla nuova ma con vestiti più sgargianti del passato, costa una perdita continua di consensi al Nord, che oggi appare difficile da raddrizzare anche per l'attivismo "tutto campo" di un Salvini che ha preso il comando sui "social" - un tempo appannaggio dei grillini - e cavalca con la sua équipe di giovani digitali posteggiati al Viminale ogni tema con un'immagine popolaresca e aggressiva. Ora un passaggio delicato si profila all'orizzonte: la questione "Tav", il famoso traforo ferroviario afferente una linea a carattere europeo, senza la quale si resterebbe nella liaison con l'Europa con infrastrutture ottocentesche, mentre nel Nord Est il traforo di base ferroviario del Brennero prosegue a ritmo avanzato. La scelta del "no" significa solo, con buona pace degli ambientalisti, la valorizzazione del trasporto su gomma con tutte le ricadute negative sulle strade che attraversano le Alpi, che sono poi il traforo del Fréjus raddoppiato a breve ed il nostro traforo del Monte Bianco. E' assai probabile che la direzione, per prendere tempo, lanciata dallo stesso Salvini di un referendum popolare, che avrà certo carattere nazionale (il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, auspica che votino solo i piemontesi, ma appare improbabile), rischi di diventare una sorta di scontro Nord-Sud con i masanielli lanciati nell'attacco ai capitalisti del Nord che vogliono infrastrutture che andrebbero invece - a loro dire - costruite nel Mezzogiorno, come se l'attraversamento delle Alpi fosse un storiella ordita da speculatori. In fondo resta l'irrisolto rapporto fra un Nord che aspira all'Europa con livelli di benessere ragguardevoli ed un Sud che decresce e soffre con un'economia che perde ancora colpi. Questa "frattura" storica al posto di ridursi e - malgrado gli investimenti imponenti italiani e comunitari - tende ad allargarsi con una situazione di frizioni crescenti che potrebbero alla fine colpire non solo in generale, ma anche nel particolare il rapporto fra Lega e "Cinque Stelle" con la tentazione per Salvini & c. di andare alla conta con elezioni anticipate. Chissà cosa avverrà: ormai fare previsioni di medio e lungo periodo è esercizio rischioso, ma resta l'impressione che questo discorso Nord-Sud, la storica "questione meridionale" che dal Regno d'Italia passa alla Repubblica senza che ci sia la possibilità di trovare un modus vivendi risolutore, sarà uno dei segni forti degli anni a venire. "L'Italia è due Paesi diversi", titolava così un giornale nel commentare certi dati dell'economia dell'"Istat" comparando Nord e Sud e tanti libri ricordano come queste ed altre ragioni pesino sulle società rispettive e sui cittadini delle diverse zone.