I locali in alta quota, bar e ristoranti, perché i rifugi sono una storia diversa, sono una rete importante dell'offerta turistica valdostana, di cui spesso gli stessi valdostani non hanno consapevolezza, perché ancora in troppi snobbano quel combustibile essenziale per l'economia che il Turismo. Noto come la crisi di settori un tempo solidi stia portando imprenditori locali - potrei citare molti esempi - a cercare di diversificare i propri investimenti e in parecchi si stanno affacciando con convinzioni al mondo turistico evidentemente per una nuova consapevolezza sulle sue potenzialità. Ma oggi vorrei soffermarmi in particolare su quelle attività che punteggiano le piste di sci, fonte importante proprio per l'economia valdostana e non a caso la gestione di alcuni fra di essi - situati in zone strategiche - risultano molto ambiti, perché si è bravi a farli "girare" gli incassi sono assicurati, innevamento naturale e artificiale permettendo.
Ci riflettevo in occasione dell'inaugurazione dell'"Abri du Ski", quota 2.400 metri, nel comprensorio sciistico del "Monterosaski", lato Crest, all'imboccatura delle piste di discesa servite dalla telecabina "Ostafa". Zona raggiungibile partendo da Champoluc con la nuova e sfavillante telecabina che ha sostituito il vecchio impianto, che a sua volta venne sostituto dei primigeni "ovetti" su quella linea che fu teatro di una tragedia all'inizio degli anni Ottanta. Per chi ha seguito, come me, per molti anni lo sviluppo delle tecniche costruttive degli impianti, c'è da restare con un palmo di naso, pensando agli incredibili sviluppi tecnologici del settore. Questo "Abri" sorge al posto che era della "Tana del Lupo", posto di ristoro cui ero legato per ragioni affettive perché, nelle esperienze da ragazzino negli anni Settanta, fu un clan di amici della compagnia che frequentavo a curarne (si fa per dire...) la gestione per una o due stagioni. In una logica da happening il locale ospitava bande di ragazzi e sciatori più su con l'età in un ambiente rustico, oggi riconoscibile solo per via della parte più antica della baita di pietra, altrimenti curata ora dopo una ristrutturazione con soluzioni architettoniche e di arredamento più funzionali di quella specie di grotta di cui rivivo episodi fantastici solo chiudendo gli occhi. Basta fare un giro sul Web per vedere come i gusti piuttosto spartani di allora si siano fatti più sofisticati dappertutto sulle Alpi, con attenzioni ben diverse da un grosso panino a mezzogiorno e via sulle piste, da passaggi rapidi da un vin brûlé ed una grappetta, da pasti frugali con una polenta grassa o una zuppa calda. L'enogastronomia si è evoluta in senso positivo con menu allettanti per pasti rapidi o convivi da pigroni e si va da proposte "chilometri zero" (o quasi) a ristoranti con pesce fresco su cui, da tradizionalista, nutro qualche garbata perplessità. Fra le novità rispetto al passato remoto c'è una crescente presenza di stranieri, che ha reso necessario qualche rifinitura alle proposte perché molti cercano non solo piatti di tradizione locale ma anche proposte della cucina italiana più propriamente detta, così come si moltiplicano - pur con qualche problema normativo da affinare, ma con legislazione regionale, perché a suo tempo trasferii la materia nel quando della nostra competenza - le cene serali in quota, che sono graditissime per il valore aggiunto di un'esperienza coinvolgente e suggestiva. Quel che è bello di questi locali ad alta quota è la natura estrema: dal gelo che ti spinge alla ricerca di tepore e calore all'interno quando si scopre quanto anche il décor sia importante a quel sole cocente non solo in primavera che riempie terrazze e belvedere, anch'esse segno di ospitalità. Dico spesso di come per noi valdostani, per ovvia abitudine, lo straordinario di certi nostri paesaggi alpini diventa ordinarietà e basta un clic per fare in modo che ci si possa riconcentrare sul diritto allo stupore.