Certo che quando sono in giro vado nei musei! Ci vado perché sono un concentrato di sapere e perché - per fortuna! - in gran parte si sono evoluti nel tempo e propongono approcci e tecnologie che evitano l'effetto di luoghi noiosi e polverosi del tempo che fu. Penso, perché scolpito nella mia infanzia, al Museo Egizio di Torino, dove turbolente scolaresche valdostane venivano portate un percorso comprensibili solo ai colti curatori ed allestitori. Per cui a New York - in un giusto equilibrio fra ozio e negozio - come si poteva mancare un classico? Usando come esca per il giovane pargolo quel film spassoso che aveva visto, "Una notte al museo", che è stato girato nel Museo di Storia Naturale di New York. Situato nell'Upper West Side di Manhattan, nei pressi di "Central Park" (che è invece museo a cielo aperto di antropologia urbana), non è solo uno dei più grandi musei della città, ma anche uno dei più importanti e ricchi musei di storia naturale al mondo. Basta appunto visitare la zona dedicata agli scheletri dei dinosauri per restare ipnotizzati e lo stesso vale, al momento, per la nostra modernissima sugli Oceani.
Confesso, nel novero delle mie preferenze nel campo di interesse per la divulgazione scientifica, un debole per i planetari, che sono quei luoghi - in Valle d'Aosta ce n'è uno vicino all'Osservatorio astronomico di Saint-Barthélemy di Nus - con apparecchi o dispositivi capaci di rappresentare e raffigurare gli aspetti ed i movimenti dei corpi celesti, cioè il cielo sopra di noi nella sua accezione sempre più vasta, seguendo le scoperte scientifiche che procedono malgrado l'oscurantismo dilagante di chi si fa rimbambire dai pregiudizi antiscientifici. Nel caso dell'American Museum c'è un planetario chiamato "Hayden Planetarium, The Space Theatre" ("Teatro dello Spazio"), dove vengono proiettati filmati che lasciando a bocca aperta. Come avvenuto in altre località con planetari ancora più innovativi grazie a tecniche ancora più coinvolgenti (ricordo lo stupore per sistema di proiezione della "Géode" di Parigi), sono rimasto lì stupito da un racconto sull'Universo ed i suoi misteri, da cui esci con i soliti interrogativi, più filosofici che scientifici, su che cosa ci stiamo a fare in questo mondo, di cui siamo particella insignificanti rispetto all'enormità dello spazio. A New York la questione si risolve poco dopo con un gigantesco piatto di hamburger e patatine, ma poi il diavolo ci mette lo zampino. Infatti fra i libri portati da leggere in viaggio sul "Kindle" c'è "Il libro dell'acqua: La storia straordinaria della più ordinaria delle sostanze" di Alok Jha, fisico per formazione, già corrispondente scientifico del "Guardian", che lavora per il canale televisivo britannico "ITV". Scelto per la curiosità del titolo, visto che l'autore si occupa di uno dei miei rovelli, quello dell'acqua, pensando a come inciderà sempre più il cambiamento climatico in una Valle d'Aosta, che è Regione arida, se non fosse per i ghiacciai che rischiano ormai la scomparsa. Il libro mischia spiegazioni sui misteri incredibili dell'acqua - ed alcuni di questi hanno messo a dura prova la mia capacità di concentrazione - con la cronaca di una spedizione scientifica in Antartide. Ma l'aspetto che collega al planetario sta nei capitoli dedicati alla ricerca dell'acqua nei pianeti vicini e lontani come fonte di vita che potrebbe portarci ad incontrare altre forme di civiltà. I famosi "marziani" o "extraterrestri" della mia infanzia con alcuni libri di fantascienza sul comodino, oggi definiti preferibilmente "alieni". Si tratta di un campo di ricerca serio e promettente anche da parte di chi segnala che cercare l'acqua per cercare la vita potrebbe derivare dall'equivoco di cercare forme di esistenza che ci somiglino e non è affatto detto che sia così. Rimettendo i piedi a terra, resta il problema dell'acqua e della sua preziosità. Conclude l'autore: «E' giusto preoccuparsi del modo in cui stiamo alterando l'equilibrio idrico naturale, perché l'acqua, che sia un gas, un liquido o un solido, incide in modo fondamentale sulle nostre esistenze, e su quelle di tutti gli altri viventi di oggi e del futuro. Ma il modo in cui l'acqua si presenta, che si tratti della colossale banchisa antartica, delle onde che lambiscono le spiagge o del fluido presente nelle nostre cellule, non è che l'espressione momentanea di un flusso di energia, una tappa nel viaggio di questa affascinante sostanza dentro l'universo. Noi siamo forse ineluttabilmente legati all'acqua, ma lei non lo è a noi. Gli ingredienti che hanno formato l'acqua che ci circonda erano presenti già pochi milioni di anni dopo il "Big Bang", e ci saranno ancora per molto tempo. L'universo ha davanti a sé un numero imprecisato di miliardi di anni, in cui l'acqua ritornerà nello spazio, molto dopo la dipartita degli esseri umani, dopo la fine della Terra, dopo la riduzione in cenere del Sole. Più o meno tra un miliardo di anni, un quarto dei nostri mari sarà sparito, assorbito nel mantello. Il Sole diventerà sempre più brillante; quando avrà raggiunto una luminosità superiore del dieci per cento a quella odierna, la temperatura media della Terra sarà arrivata a 47 °C. Un fortissimo effetto serra renderà il pianeta quasi del tutto inospitale per la vita, e la stratosfera, la parte più alta dell'atmosfera, si riempirà di vapore acqueo. Sotto l'effetto della luce solare, le molecole giunte fin lassù si spezzeranno e l'idrogeno, tornato libero, sfuggirà all'attrazione terrestre. Nel giro di centomila anni tutti i mari saranno spariti. Rimarrà forse qualche sacca di acqua liquida qua e là, proveniente dalle profondità del pianeta, e ci potrebbe essere qualche piccolo lago ai poli. Tra cinque miliardi di anni il Sole avrà esaurito il carburante, e prima di allora tutta l'acqua presente sulla Terra sarà spazzata via dalle temperature elevatissime. Scomposta nei suoi elementi costitutivi, tornerà a essere un mucchio di atomi vaganti nell'oscurità dello spazio».