Oggi devo prendere un pochino più di spazio, ma credo non sia un esercizio inutile. Era l'aprile del 1999. Come deputato valdostano così chiedevo all'allora primo Governo D'Alema: Luciano Caveri: «Signor Presidente, la tragedia del Traforo del Monte Bianco che ha causato oltre quaranta morti nel rogo sviluppatosi al centro del tunnel, assieme al lutto, al dolore e alla speranza che sia fatta chiarezza su eventuali responsabilità, per un'ovvia esigenza di giustizia, ci obbliga a porre tre domande al ministro dei lavori pubblici Enrico Micheli. La prima è quando si intenda riaprire al transito il tunnel; la seconda è se siano previste misure per una maggiore sicurezza e se sia prevista una limitazione nei transiti, specialmente dei "Tir"; la terza è se si intenda avviare il confronto con la Francia, da tempo auspicato dalle comunità locali, per una nuova direttrice, questa volta ferroviaria, sotto il Monte Bianco».
Enrico Micheli, ministro dei lavori pubblici: «signor Presidente, sono consapevole dell'urgenza della riapertura del Traforo del Monte Bianco, il cui utilizzo strategico per i collegamenti con la Francia, ma anche con il resto dell'Europa nord-occidentale, sono noti. Rimangono due accessi al territorio francese: il collegamento stradale e autostradale di Ventimiglia e il Traforo del Fréjus. Il primo collegamento è già da anni da considerarsi al limite delle capacità, mentre la galleria del Fréjus ha caratteristiche di transitabilità analoghe a quelle del Monte Bianco e dai primi dati risulta che ha già visto raddoppiarsi il traffico giornaliero delle merci. Si rende, pertanto, necessario affrettare i tempi di riapertura, la quale presenta comunque, onorevole interrogante, notevoli problemi, sia di ripristino infrastrutturale per il rifacimento delle volte e della pavimentazione, sia di adeguamento dei sistemi di sicurezza. Al momento non possono farsi previsioni certe circa i tempi di riapertura. La principale causa di indeterminazione dei tempi è costituita dalla chiusura del Traforo disposta dalle autorità francesi competenti per territorio fino alla conclusione dell'inchiesta giudiziaria da loro avviata, i cui tempi ovviamente non sono ancora definibili. Comunque, faccio presente che la delegazione italiana, nel corso della riunione della Commissione intergovernativa italo-francese tenutasi il 31 marzo, ha già manifestato la necessità di avviare al più presto le procedure per ottenere le necessarie autorizzazioni alle verifiche tecniche, alle progettazioni e alle opere di ripristino del tunnel. Gli impianti esistenti nel traforo erano considerati, fino al 24 marzo scorso, sufficientemente sicuri non solo nei confronti degli altri trafori italiani e stranieri, ma anche rispetto ai tassi di incidenti dell'intera rete stradale e autostradale. Infatti, dal 1965, nei 34 anni di esercizio, con un transito complessivo di sedici milioni di automezzi, si sono verificati complessivamente 32 incidenti, con un totale di tre vittime e quaranta feriti e, inoltre, quindici casi di incendio risolti con soli tre feriti e nessuna vittima. La recente tragedia, che può essere considerata un evento eccezionale, evidenzia tuttavia l'esigenza di un adeguamento delle misure di sicurezza non solo del Traforo del Monte Bianco, ma anche degli altri trafori. In considerazione dei tempi molto lunghi richiesti da interventi di carattere definitivo, quali la realizzazione di una galleria di servizio per l'evacuazione delle persone e di una nuova galleria per separare le correnti di traffico, si può ipotizzare nel breve periodo una riapertura del traforo che, oltre ai necessari interventi di ripristino delle volte, della pavimentazione e di adeguamento dei sistemi di sicurezza, preveda una particolare regolamentazione del traffico, che dovrà essere approfondita nelle opportune sedi anche a livello intergovernativo, e cioè: istituzione di un senso unico alternato del traffico, in modo da caricare in una direzione unica la colonna dei veicoli, orientando opportunamente il sistema di ventilazione e facilitando gli interventi di sicurezza e di soccorso in caso di incidenti, oppure previsione del transito in doppio senso, ma contingentando l'accesso di veicoli, in specie quelli adibiti al trasporto di merci, in modo da ottenere un congruo distanziamento per evitare così, in caso di incidenti, l'eccessivo accumulo di veicoli. La Commissione intergovernativa Italia-Francia, infine, ha in corso di valutazione la fattibilità tecnica ed economica della nuova linea ferroviaria "Torino - Lione" attraverso il Frejus. Nel frattempo le "Ferrovie dello Stato" hanno cominciato uno studio di fattibilità per ulteriori interventi a breve e medio termine (150 miliardi) per il miglioramento infrastrutturale dell'attuale direttrice "Torino - Modane", interventi che potranno essere realizzati con le disponibilità della legge numero 354 del 1998». Luciano Caveri: «Ringrazio il ministro che con molta sensibilità ha ribadito la necessità che si riapra in fretta il traforo; debbo tuttavia rilevare alcune questioni richiamate nella risposta che mi sembrano significative. Anzitutto partirei dall'ultima domanda, quella in cui chiedevo se si immaginasse una direttrice ferroviaria attraverso il Monte Bianco. La sua risposta è sostanzialmente negativa perché lei si rifà al progetto esistente della "Torino - Lione" ed al rafforzamento della "Torino - Modane". Diciamo che allo stato attuale il Governo, differentemente da alcune dichiarazioni del Presidente D'Alema rese a caldo sul piazzale del Monte Bianco, non pensa ad una direttrice ferroviaria sotto il Monte Bianco. Invece, le ripeto che le comunità locali, ben conscie dell'aumento del traffico che vi sarà sotto le Alpi, chiedono che si avvii un ragionamento che finora è stato limitato alle decisioni assunte dal governo regionale della Valle d'Aosta, che ha già avviato un'ipotesi di studio. L'altra questione che lei ha sollevato riguarda un tunnel di soccorso e di sgombero, addirittura lei ha parlato di un possibile raddoppio stradale. Le comunità locali sono contrarie ad un raddoppio del traforo stradale ritenendo che esso e l'eventualità di un foro di servizio (che sarebbe nel tempo destinato a divenire un traforo stradale) acuirebbero solamente il transito pesante dei "Tir" che deve essere logicamente spostato sulla ferrovia. Naturalmente non rientra nei piani europei che prevedono fino all'anno 2010 altre tratte ferroviarie e che situano il Traforo e l'autostrada del Monte Bianco (versante italiano) come strategico per l'Europa. Lo ripeto, noi valdostani abbiamo deciso di privilegiare la direttrice stradale, siamo stati compartecipi nella società "Rav" alla realizzazione dell'itinerario stradale ma riteniamo che oggi si debba guardare alla ferrovia, auspicando naturalmente la riapertura del traforo, messo a norma e insicurezza, con tutte quelle misure di salvaguardia che si rendessero necessarie». Come noto il traforo riaprì nel marzo del 2002 e si disse, allora, che si trattava di lavori importanti - vennero spesi 260 milioni di euro! - che offrivano la massima garanzia. Oggi, a distanza di soli diciassette anni, sembra che il traforo sia un ferrovecchio si minaccia una chiusura addirittura per sempre e si chiede un raddoppio da parte del "Gruppo Autostrade-Benetton", come è avvenuto per il Traforo del Fréjus - di proprietà del "Gruppo Gavio" - con una cantiere aperto undici anni fa, perché questi sono i tempi di costruzione. Già all'epoca della riapertura il problema principale riguarda il rischio di incremento per i "Tir" e per questo nel settembre del 1999 presentai una leggina, che così motivavo: «Onorevoli colleghi! Ormai da molti anni si lamenta, in Italia, una cattiva distribuzione dei trasporti fra gomma e rotaia. Stenta, purtroppo, ad avviarsi il necessario riequilibrio fra queste due tipologie di trasporto in buona parte antagoniste e che, dati alla mano, vedono la strada palesemente in testa. Le conseguenze del fenomeno descritto sono visibili nel numero impressionante di mezzi pesanti (noti come "Tir") lungo tutta la rete viabile e ciò si manifesta in particolare attraverso gli assi nord-sud di attraversamento delle Alpi. Sono ben note le "punte" che rendono ormai quasi ordinario il formarsi di ingorghi lungo le strade di accesso ai trafori stradali alpini e ad alcune frontiere e l'attuale rallentamento nell'avvio di nuove direttrici ferroviarie, sommato all'enorme aumento previsto nel traffico merci, pone il problema di una compatibilità fra protezione dell'ambiente e sicurezza stradale ed il rischio di un moltiplicarsi selvaggio del traffico nel nome della libera circolazione delle merci. Un'esigenza, quella della mobilità delle merci in Europa, condivisibile, che va però armonizzata pur nella logica importante dell'integrazione europea con la tutela di zone "sensibili" e tutelate quali sono le Alpi. Il dramma del Traforo del Monte Bianco del 24 marzo 1999, con il suo tragico bilancio di vittime, ha scosso l'opinione pubblica e riproposto il tema del trasporto in zona alpina anche per il livello di insostenibile saturazione che oggi si registra al Traforo del Fréjus. Si manifesta in questo caso una forte mobilitazione delle popolazioni locali contro il traffico pesante, cui non si può non dare risposta nel nome di elementari principi democratici. Da questa esigenza, che tiene in considerazione anche casi di incrementi impressionanti di traffico come avviene al Brennero, nasce la presente proposta di legge, che va considerata come un contributo al dibattito in corso, perfettibile e modificabile nel suo iter parlamentare. Si tratta del primo tentativo di trovare una soluzione legislativa all'esigenza di ridurre e, in prospettiva, di azzerare il trasporto delle merci su gomma su lunghe distanze, sapendo come questo sia un risultato da raggiungere nel tempo e con ragionevolezza in connessione con i necessari investimenti ferroviari». Il testo era semplice.
"Per motivi di protezione ambientale, di sicurezza stradale, nonché difficoltà del traffico, il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, d'intesa con le Regioni e con le Province autonome interessate, propone ai singoli Stati contraenti la modifica di ciascuna delle convenzioni alla base dell'esercizio dei trafori stradali alpini e predispone apposite misure, con le stesse modalità di cui al presente comma, alle frontiere di terra in zona alpina a traffico pesante intenso". "Nelle modifiche e nelle misure di cui al comma 1 deve essere prevista la predisposizione, per ciascun traforo o frontiera di terra, di un piano del traffico e dei transiti che contenga espliciti divieti per i mezzi o per le merci trasportate ritenuti pericolosi o inquinanti e deve essere altresì fissato, con il criterio di una progressiva riduzione del trasporto su gomma su lunghe distanze, sino al suo completo trasferimento su rotaia, un contingentamento giornaliero a scalare del numero dei mezzi pesanti nelle 24 ore, secondo le stagioni e nel rispetto di maggiori limitazioni già esistenti. Riduzioni ulteriori del numero massimo dei mezzi pesanti ovvero il blocco totale del traffico pesante possono essere decisi temporaneamente, con apposito atto amministrativo del presidente della giunta regionale o provinciale interessata, in caso di necessità ed urgenza". "Con decreti del Ministro dei trasporti e della navigazione, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, d'intesa con le Regioni e con le Province autonome interessate, sono previste misure analoghe a quelle di cui al comma 2 in territorio italiano lungo le direttrici stradali di accesso ai medesimi trafori o alle frontiere di terra anche a integrazione o modificazione delle concessioni autostradali".
Certo, oggi qualcosa del genere dovrebbe essere modernizzata - e nel caso valdostano pure ancorata ad una norma d'attuazione - e la politica trasportistica prevederebbe una triangolazione con Bruxelles. Nel frattempo sotto il Brennero si sta facendo la nuova ferrovia, mentre sulla "Tav" siamo ancora fermi alle decisioni definitive. Il raddoppio del Fréjus riverserà "Tir" in quella Valle senza regole di limitazione e spunta - sempre facendo finta che i francesi, contrari all'opera, non contino nulla - la lobby del raddoppio del Bianco senza, allo stato, garanzia alcuna su limitazioni ragionevoli e cogenti al transito dei camion e senza prendere in considerazione qualcosa di ferroviario, che sarebbe più serio che puntare sulla strada in barba al "Protocollo Trasporti" della "Convenzione Alpina" ed ai principi ispiratori in materia di trasporti della Macroregione alpina. Speriamo che si apra un dibattito serio.