Per chi abbia ancora voglia di avere un pur residuo interesse per la Politica, val sempre la pena - a meno di scegliere l'eremitaggio - di seguire le vicende italiane con l'evidente apprensione di non capire bene dove si stia andando e con la sgradevole sensazione che si vaghi nel vuoto, ma riempiendolo con una comunicazione ossessiva e martellante nella speranza che i cittadini risultino sempre più come degli utili idioti. Chi lo dice, naturalmente, è - mi autodenuncio - un "radical chic" e perciò posso scriverne liberamente. In contemporanea mi arrendo e spero che il campo di rieducazione digitale sia confortevole. Ha indubbiamente ragione chi segnala che la deriva populista - quella dell'"uomo del Destino", che in Italia porta male ai cittadini e anche a chi crede di esserlo - non è frutto improvviso del crescente (nei sondaggi) Matteo Salvini e del suo declinante partner (nei sondaggi, ed è un bel paradosso) Luigi Di Maio, ma ha radici profonde nel sistema politico italiano.
Ne è esempio proprio la curiosa miscellanea Lega e "Cinque Stelle", che appare come il nuovo déjà vu del Millennio. Mai uscita dalle urne, questa sperimentazione sempre sull'orlo della crisi di nervi (ma poi i leader si trovano nei famosi e risolutivi vertici) è nata per mettere assieme le legittime ambizioni di potere, che sono uno straordinario collante, che unisce anche ciò che sarebbe impossibile. Con la unica variante interessante che al ruspante "leghismo", ormai "sovranista doc", e dunque il contrario del "federalismo", fa da contraltare quel "grillismo" oggi "dimaismo" che ha come motore quella "Casaleggio e associati" che è creatura extrapolitica e che dirige tutti come si fa con i topi di laboratorio. Una deriva che disegna fantasmi orwelliani. Ma quel che colpisce è soprattutto la capacità di cancellare le diversità molto sostanziali a beneficio dello stare assieme forzatamente come precondizione per poter comandare, pronti cioè non alla nobile scelta di trovare compromessi ma alla logica di "un po' a te e un po' a me" con una spartizione che nulla ha che fare con la democrazia. Lo si vede anche nella piccola Valle d'Aosta, dove siedono attorno allo stesso tavolo del governo persone che fra di loro non c'entrano nulla e dunque figurarsi cosa capita laddove la posta in gioco è enormemente più grande. Quel che è certo storia di alleanze e trasformismi è una costante nel tempo. Basti pensare all'Italia Rinascimentale e - ben più vicino - all'Italia liberale ottocentesca. Ma si stagliano, nel lavoro preparatorio dell'attuale situazione, Silvio Berlusconi, homo novus sulle ceneri di quella Prima Repubblica che gli aveva consentito di diventare il magnate della televisione privata e quel Matteo Renzi che - partito democristiano e diventato leader del Partito Democratico - era assurto a furor di popolo come il giovin signore che avrebbe cambiato l'Italia con il suo carisma. Ed i cittadini fanno salire con rapidità impressionante in cima alle scale del già citato Potere questi uomini della Provvidenza, che ottenuto quel ruolo scoprono poi come la loro poltrona sia stata installata su di una pira cui è facile dare fuoco nella logica dell'"avanti un altro". Questa schizofrenia che rende il terreno sempre incerto e la governabilità un oggetto misterioso, rende la democrazia debole e cresce la tentazione di avere finalmente - lo dicono autorevoli esponenti del nuovo, come Flavio Briatore, Lorella Cuccarini e lo si legge sui "social" dai post di una marea di leoni da tastiera - un bel Capo che tutto decida da solo senza tante balle di Parlamenti perditempo, intellettuali mollaccioni, tecnici micragnosi, scienziati saccenti. Il tono potrà pure essere scherzoso, ma la sostanza - ahimè - è serissima.