Di Matera si è parlato moltissimo in questi giorni ed ho letto due punti di vista che illuminano diversamente la scena. Il mio amico giornalista europeista, Giuseppe Dimiccoli, che fu collaboratore di Pietro Mennea al Parlamento europeo, così inquadra sulla "Gazzetta del Mezzogiorno" il cammino che ha portato Matera ad assurgere ad un importante riconoscimento comunitario: «Europa e cultura un binomio che, a maggior ragione in questo momento storico, è bene che sia coniugato al meglio. E per tutto questo 2019 proprio Matera "Capitale europea della Cultura", in parallelo con la graziosa Plovdiv in Bulgaria, illumini in tal senso tutta l'Europa propagando il fascio di luce della cultura in tutto il mondo».
Poi Giuseppe smitizza l'idea di un'Europa solo dell'economia e dei capitali: «Del resto è acclarato che la cultura è il binario lungo il quale il treno dell'Unione europea continua a fare in modo che gli oltre cinquecento milioni di cittadini che abitano gli attuali 27 o 28 Stati membri ("Brexit" permettendo) viaggino in una comunità che, nonostante, profuma di speranza e cultura. Un patrimonio che vede l'Italia primeggiare e che si estende dalla Svezia a Malta passando dalla Lituania alla Polonia. E' bene precisare che la cultura della pace è il perno principale sul quale il progetto europeo si è consolidato e porta avanti le sue direttrici. Parlamento europeo e Commissione europea, congiuntamente a tutte le altre Istituzioni, promuovono e sostengono la cultura in Europa. Un punto fermo che ben si inserisce anche in ambito lavorativo se consideriamo che la cultura, come settore particolare, crea e fornisce posti di lavoro, promuovendo la crescita economica. E allora, proprio da Matera, parta la riflessione in merito alla necessità di ottimizzare tutte le risorse culturali esistenti sul territorio europeo per fare in modo che venga favorita l'integrazione e coesione della nostra società». Poi precisa: «La base giuridica che regola i "fatti culturali" è racchiusa nell'Articolo 151 del Trattato nel quale è ben specificato che non si può prescindere dal rispetto della diversità culturale e delle identità nazionali. Inoltre viene evidenziato il ruolo delle regioni dell'Unione europea come importante forum per la cooperazione culturale sottolineando che il paragrafo 4, nell'individuare le specificità del settore della cultura, pone l'accento sulla sua capacità di favorire la creatività e l'innovazione. Del resto proprio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha ricordato bene ieri a Matera, "la cultura costituisce il tessuto connettivo della civiltà europea" quella che rinsalda l'ossatura di una grande area di pace da oltre settant'anni premiata con il riconoscimento del "Nobel". Matera, per tutto questo, si distingua seminando una azione di "alfabetizzazione europea" al fine di rendere tutti gli europei dei cittadini ed elettori consapevoli non solo per le prossime elezioni europee di maggio». Sin qui i chiari, ma trovo giusto, traendolo da "La Verità" citare, uno scritto di Marcello Veneziani, noto intellettuale del Sud e fra i pochi che ha scritto nel passato del ruolo del federalismo, che analizza alcuni scuri: «Arriva come un sasso nello stagno l'anno di Matera "capitale culturale d'Europa". Comincia ufficialmente oggi, con Mattarella e Conte, anche se da mesi e poi nella notte "Rai" di Capodanno, se ne parla come di un evento-riscatto per il sud a partire dal suo luogo più pittoresco e più arretrato. E' bella Matera, suggestiva come una fortezza mistica d'oriente, una località di Cappadocia oppure afghana, o una specie di Betlemme scivolata in Europa. Ha un fascino arcaico, Matera, sembra sospesa in un'età magica e preistorica, come un'età della pietra, lo splendore della miseria, il presepe delle origini; ma suona grottesco definirla capitale culturale europea, perché Matera non ha i tratti di una capitale né di un luogo culturale né di un centro europeo. Ed è scollegata da tutto». Già, i trasporti sono un antico punto debole e non basta l'affluenza enorme di personalità all'inaugurazione a cambiare la sostanza delle cose. Ancora Veneziani: «Turismo a parte, è una capitale nel deserto, come una "Fortezza Bastiani" sospesa nel vuoto in attesa dei Tartari, come nel famoso romanzo di Buzzati. Per deserto non intendo semplicemente i suoi paraggi, la sua provincia, le sue campagne. Intendo il sud, il meridione intero, che è ormai un deserto dei tartari, sempre più disabitato. I tartari qui sono di volta in volta gli emigrati, gli immigrati, i disoccupati. Ma tartari cioè latitanti, sono pure gli investimenti, i progetti, le grandi opere, la cultura, l'editoria. Sempre meno gente legge al sud, altro che capitale culturale europea». Poi affonda il coltello nella piaga: «Un tempo il sud aveva mille handicap ma qualcuno, come l'Avvocato Agnelli, poteva ironizzare sugli intellettuali della Magna Grecia. A trovarne, adesso. Anche gli intellettuali, la cultura umanistica, i vecchi professori, come il mitico Aristogitone su cui ironizzava Renzo Arbore alla radio rilanciando i suoi ricordi liceali, non ci sono più. Non sono arrivati i manager, in compenso sono spariti gli intellettuali, i loro circoli, i tavolini di caffè in cui si faceva taglio e cultura, pettegolezzo e filosofia. Il sud non esiste più. La famiglia tipo oggi al sud è costituita da padre, madre e niente più. I figli sono partiti per il nord, e non si portano nemmeno il caciocavallo che "impuzzolisce" le valigie, come recita uno spot della "Conad", dove la mamma è una cretina: mette il cacio sopra le camicie, quando mai lo farebbe una mamma del sud; solo il padre ne capisce perché si affida all'ipermercato. Ma i ragazzi partono e al sud lasciano il cacio, non il cuore. Non tornano». Infine una riflessione: «Il divorzio dei figli dai genitori è la prima emergenza del sud. La seconda sono i migranti che stazionano nel nulla col cellulare e la bici in molti centri meridionali d'accoglienza; e per ingannare il tempo, il sesso e magari procurarsi i soldi per vivere, combinano un po' di guai. Resta in piedi del passato solo la brutta piaga del caporalato, coi braccianti neri o romeni ingaggiati per due soldi per raccogliere olive e pomodori, quando non arrivano anche questi dal medio oriente. Al sud è fiorente solo il filone comico, da Checco Zalone, che da solo fattura per ogni film più della "Fiera del levante", a Nino Frassica ed alla scuola meridionale di Arbore, a Fiorello, più i comici che imperversano nei video. Era l'estate del '64 e sotto un sole "ferocemente antico" Pier Paolo Pasolini girava "Il Vangelo secondo Matteo" a Matera, alias Gerusalemme. La Madre di Gesù era la mamma di Pasolini. Un film all'epoca ritenuto blasfemo, oggi addirittura considerato il più cristiano dei film dedicati a Cristo in croce. Matera, al tempo, era la città più primitiva d'Italia, dove i Sassi evocavano la preistoria e la miseria ancestrale. Ma intorno a Matera già serpeggiava sulle strade e nelle case meridionali lo sviluppo del Mezzogiorno. Un sud in pieno boom, non solo economico ma demografico. Si facevano figli e autostrade, quartieri nuovi, sorgevano le prime industrie, arrivava la luce e l'acqua corrente dappertutto. Poi vennero le Regioni e fu il principio della fine, il raddoppio della malapolitica e degli sprechi. Tornando adesso trovi, sì, Matera come uno splendido sito turistico di richiamo globale, ormai lanciato dai film (qui venne pure Mel Gibson con la sua "Passione di Cristo"), una location mitica, perfetta per la televisione; più l'effetto riflesso della vicina Puglia che è diventata meta di forte attrazione. Ma cos'è il sud, oggi? E' un luogo desolato, e non solo perché una fetta larga di sud è nelle mani della criminalità organizzata. Ma perché non si costruisce futuro, non si vive il presente, si fugge e non si fanno figli. Il mondo si è posizionato al nord, i giornali del sud languono o sono in grave crisi (l'ultimo a rischio è la "Gazzetta del Mezzogiorno"). Rincuorerà qualcuno a sud sapere che in Italia "comandano i terroni", come scriveva "Libero" qualche giorno fa. Ma a che vale avere nei Palazzi romani le facce meridionali di Mattarella e Di Maio, di Fico e Conte, se il Sud non conta niente in Europa, in Italia e perfino a casa sua? Se non fa sistema, se non fa rete, se è tutto un regredire, un perdere, uno spopolarsi? Magari fosse realizzabile quel progetto leghista di fare del nostro Mezzogiorno una zona franca, come il Portogallo e le Canarie, con fisco, bellezze e clima invitanti per i pensionati del nord Europa. Quindi con la necessità di creare infrastrutture, così creando occupazione per i ragazzi del sud. E in questa landa desolata sarebbe oggi il cuore del comando italiano? Ma no, dai, non confondiamo emissari, figuranti, maggiordomi, masanielli e pazzarielli col potere effettivo. I terroni stanno a terra, alcuni sottoterra, lo dico da terrone avvilito, non da nordista che li detesta. Per questo Matera è la capitale del Sahara italiano. E poi giù il deserto…». Considerazioni che forse paiono esagerate, ma evitano il coro di troppa retorica udito in queste ore su Matera.