Mi è capitato spesso - e ancora in questi giorni in mezzo alla confusione gioiosa della "Fiera di Sant'Orso" - di attraversare muri di folla e chiedermi in questi incroci come la pensassero quelle persone che incontravo sul futuro della piccola Valle d'Aosta e se avessero coscienza del fatto che siamo ad un passaggio delicato. Ognuno di loro con la propria storia, la propria vita, gli affetti, le gioie e dolori è un pezzettino di un insieme. Uso spesso, perché mi piace, la parola "comunità", importante per un federalista personalista quale mi sento. Comunità è un insieme di individui che condividono un territorio e trovano altri elementi da mettere assieme e ciò può avvenire a geometria variabile. Chi nega l'esistenza di una comunità valdostana può farlo e vivere una sua dimensione solipsistica, ma non può negare l'evidenza di tanti legami e collanti, che poi si sostanziano di questi tempi nell'ordinamento politico autonomista.
Scrive Zygmunt Bauman: «La parola "comunità" esala una sensazione piacevole, qualunque cosa tale termine possa significare. Le compagnie e le società possono anche essere cattive, la comunità no. La comunità è sempre una cosa buona». E ancora: «La parola comunità evoca tutto ciò di cui sentiamo il bisogno e che ci manca per sentirci fiduciosi, tranquilli e sicuri di noi». Ma questo non significa affatto dire che tutto sia statico e rose e fiori. Spero anzi che cresca il numero di valdostani (definizione intesa nella sua accezione più inclusiva possibile) che alzano la mano, come momento di ribellione contro certe storture più o meno gravi, prima che l'Autonomia valdostana muoia per indegnità. Non sarebbe la prima volta nella millenaria storia valdostana che un certo regime politico si spegne e si entra in una nuova fase. Ma che questo avvenga per una sorta di degrado strisciante sarebbe davvero condizione triste. Ne discutevo con una personalità valdostana di spicco e di morale adamantina, che nei suoi rapporti esterni - come capita anche a me in certi contatti - ha constatato nel volgere di pochi anni come si sia passati da un'elevata considerazione per la Valle ad una valutazione negativa su che cosa siamo diventati. Non è la storia dell'"isola felice", definizione data dall'esterno che appariva zuccherosa, quanto la percezione che le cose andassero bene e su un substrato di serietà e efficienza che ci faceva apparire in modo positivo. Oggi è purtroppo l'inverso ed è argomento di cui dolersi ed a cui reagire come si deve. Non si tratta solo di vicende fatte di questioni penali o contabili, ma da una diffusa sensazione che dalla illegalità scende di livello fino al degrado morale per poi arrivare a ignoranza e sciatteria. Non faccio di ogni erba un fascio, come fanno certi sfascisti professionali che giocano sempre nella logica distruttiva e mai in quella costruttiva, ma trovo che ci sia ancora troppa indifferenza, come se nel tempo a certo degrado si fosse fatto il callo. Osservava Elie Wiesel, lo scrittore sopravvissuto all'Olocausto: «L'opposto dell'amore non è odio, è indifferenza. L'opposto dell'arte non è il brutto, è l'indifferenza. L'opposto della fede non è eresia, è indifferenza. E l'opposto della vita non è la morte, è l'indifferenza». Sono sopraffatto da una certa rabbia verso certa indignazione che si accende in occasione di scandali e scaldaletti di questi ultimi anni destinata a spegnersi con rapidità, come un fuoco di paglia. Questo avviene per varie ragioni: la peggiore resta la sottovalutazione di fatto e delle circostanze in una logica di perdono per partito preso della serie «è vero, ma...» o persino «così fan tutti...», come se l'antica sobrietà fatta di senso del dovere e senso civico fossero vecchi arnesi di mentalità passate. Certo rampantismo e furberie borderline sembrano per alcuni medaglie da mettere sul petto. Esiste in questo atteggiamento di complicità tutto un mondo di sfilacciamento di valori e principi. Bisogna in fretta invertire la marcia e lo dico con grande umiltà non da chissà quale cattedra, ma con la speranza appunto che si risveglino coscienze sopite a favore del famoso bene comune.