Scriveva l'Ansa poche settimane fa: "Con 125.700 abitanti stimati al primo gennaio 2019, la Valle d'Aosta ha perso circa 500 residenti in un anno: era dal 2008 che la popolazione non scendeva sotto quota 126 mila. Il dato emerge dal rapporto "Indicatori demografici" diffuso dall'Istat. Il calo rispetto al 2018 è del 3,7 per mille, più accentuato della media nazionale (meno 1,5). I decessi in Valle d'Aosta superano di 600 unità le nascite e non vengono compensati dalla differenza positiva tra immigrati ed emigrati all'estero (300)". Questo calo di popolazione evidenzia una crisi demografica sempre più grave e rispetto alla quale sembra non esserci coscienza completa da parte della popolazione, allarmata piuttosto - sotto l'influenza di chi drammatizza, riuscendoci - dai famosi "stranieri", specie se "migranti".
In Italia questi "stranieri" sono dagli ultimi dati ufficiali 5.144.440, l'8,5 per cento della popolazione, e comunque in linea con la media europea, che si attesta al 7,5 per cento. In Valle d'Aosta siamo a 8.117 pari al 6,4 per cento, dato che dovrebbe essere calato ancora lo scorso anno. Gli stranieri occupati sono poco meno della metà (2.423.000), e costituiscono il 10,5 per cento degli occupati sul suolo italiano. Va poi ricordato il crollo degli sbarchi. Nei primi nove mesi del 2018, le persone sbarcate sulle coste italiane sono state 21.041, contro le 105.737 dello stesso periodo del 2017 e le 132.043 del 2016. Il saldo fra 2017 e 2018, quindi, è un -87,4 per cento ed il dato dovrebbe anch'esso essere in calo. Questo per ripetere che l'emergenza demografica oggi è enormemente più grande della questione dell'"invasione" dei migranti. Avevo letto sul "Corriere della Sera" una bella intervista di Tonia Garofano ad Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia presso l'Università cattolica "Sacro Cuore" di Milano ed autore del saggio "Il Futuro non invecchia", edito da Vita e Pensiero, che consiglio caldamente. Dice Rosina: «Tutto il mondo sta invecchiando, come conseguenza dell'aumento della longevità e della diminuzione della natalità. L'Italia si è posta come punta avanzata di questa trasformazione epocale perché all'estensione della durata di vita ha aggiunto una accentuata denatalità. Siamo attualmente il paese (pur considerando il contributo degli immigrati) con più bassa fecondità in Europa e il primo a trovarsi con una popolazione con più ottantenni che nuovi nati». Ed aggiunge: «L'invecchiamento della popolazione è in Italia particolarmente accentuato, ma il vero problema è che si combina con altre fragilità: le difficoltà delle nuove generazioni ad entrare nel mondo del lavoro e le inadeguate condizioni per una soddisfacente e produttiva lunga vita attiva. Il rapporto tra "over 65" e fascia centrale attiva (25 - 44) diventa ancora più sfavorevole quando al numeratore si mette il numero di anziani in pensione e al denominatore i giovani-adulti occupati. E nei prossimi anni tale rapporto rischia di peggiorare ulteriormente per la crescita dei primi e la diminuzione quantitativa dei secondi. Se non si interviene con misure adeguate e incisive avremo una minor crescita economica e una minor sostenibilità del sistema di welfare» Per poi chiarire: «Dobbiamo agire sia sui cambiamenti indotti dall'aumento della longevità sia sull'impatto della denatalità sulla popolazione attiva. Nel primo caso va colta l'opportunità della rivoluzione in atto: un 65enne è oggi in condizioni psico-fisiche molto migliori rispetto ad un 65enne di vent'anni fa, anche se non si può pensare che possa essere attivo e produttivo come quando aveva vent'anni di meno. Nel secondo caso va compensata la riduzione quantitativa delle generazioni che si affacciano alla vita adulta con un potenziamento qualitativo della loro formazione e della valorizzazione all'interno del sistema produttivo. Il ruolo delle politiche del lavoro è cruciale in questo contesto, in combinazione con politiche per lo sviluppo. Serve una visione sistemica e dinamica del rapporto tra demografia, welfare e crescita economica, con al centro la messa a valore della capacità delle persone di essere e fare nelle varie stagioni della vita e in modo collaborativo tra le varie generazioni. Questo non accade magicamente ma attraverso politiche adeguate che accompagnino la formazione continua, le transizioni di entrata e in uscita dal mercato del lavoro, la promozione del fattore umano nei processi di innovazioni. Se non si va in questa direzione le nuove generazioni italiane si troveranno nei prossimi anni a temere sempre più la concorrenza dei lavoratori maturi e dei robot. Per tornare a crescere superando gli squilibri demografici dobbiamo mettere a fattor comune tutto il nuovo che il futuro aggiunge al presente, nuove generazioni, nuove fasi della vita, nuove tecnologie». Molto ruota, alla fine, per una politica demografica che non sia una campagna grottesca per la natalità, attorno al valore che si dà agli aiuti alla famiglia. Non c'è molto da inventare: andate a vedervi cosa avviene nella Provincia di Bolzano sul sito istituzionale e si vede come, in ambiente simile al nostro si può agire. Così si riassume in poche righe: "La Provincia sostiene le famiglie. Partendo dai contributi economici in favore dei nuclei familiari con bambini e attraverso il lavoro svolto dall'Agenzia per la famiglia per enti che offrono servizi per l'assistenza di bambini. L'Agenzia per la famiglia inoltre dà informazioni per i genitori e lavora per migliorare le condizioni della famiglia. Impegnarsi al meglio per le famiglie sul territorio rimane la priorità. Le famiglie in Alto Adige devono vivere bene e godere, anche in prospettiva futura, di una buona qualità di vita". Il termine "territorio" è prezioso, pensando a come picchia ancora duro lo spopolamento delle nostre vallate, specie se correggiamo certe cifre delle stazioni turistiche dopate dai lavoratori del turismo senza radici vere. Nei ventotto Comuni della Valle centrale vive il 75 per cento della popolazione valdostana!