Seguo con interesse e sulla base di una certa competenza accumulata nel tempo il dibattito sul futuro degli impianti a fune in Valle, sorridendo - perché conosco l'ambiente - quando si parla di «lobby degli impiantisti» da parte di chi favoleggia la fine dello sci. L'unica vera lobby è sul lato costruttivo con un duopolio mondiale, che condiziona i prezzi di costruzione a causa di una concorrenza assai dubbia. Bisogna farla questa riflessione, guardando bene a cosa si sta facendo attraverso tutte le Alpi, perché il problema è comune in tutte le sue sfaccettature nel legame fra impiantistica e turismo. La verità è semplice: lo sci resta una colonna portante del turismo invernale, ma bisogna mettere ordine con scelte definitive ad un settore che ha bisogno di certezze almeno per due ragioni.
La prima è la contrazione delle risorse, che obbliga per manutenzioni e rinnovi (ed eventuali nuovi collegamenti) a fare delle scelte, perché non esistono risorse pubbliche per tutti, pur restando sempre l'opzione di attrarre investimenti privati in certe circostanze. La seconda è che i cambiamenti climatici spingono sempre più in alto, dove ci sia la neve o dove la si possa produrre con certezza di temperatura. Il mercato e il clima hanno già agito in passato, facendo chiudere impiantini nati negli anni del boom. Penso a Challand-Saint-Anselme, ad Emarèse, a Periasc di Ayas, allo skilift al centro di Brusson e l'elenco potrebbe proseguire. Oggi la questione pare farsi seria rispetto a zone nel mirino. Seguendo un disegno evidente della Giunta Borgio, evidente nel contenuto dell'ultimo appalto, il Col de Joux sarà chiuso nella prossima stagione e questo suona come una "campana a morto" per la piccola stazione. Tremano sul futuro del loro comprensorio gli abitanti di Antagnod e persino il Weismatten di Gressoney-Saint-Jean, dove si sono spese cifre enormi per lo stadio dello sci, sembra in forse. Insomma: il dossier è delicato e riguarda tutte le medie stazioni sottomesse a grandi località, come Estoul-Palasinaz e Champorcher al Monte Rosa, Crevacol a Pila, Torgnon e Chamois alla Cervino. Forse avrebbe più senso una mega-società delle grandi ed un'aggregazione delle restanti, avendo problematiche differenti, magari sotto una stessa holding con un occhio crescente alla redditività, alle fonti di finanziamento, all'effetto moltiplicatore sul'economia locale e pure alla funzione sociale. Trovo che sia molto positivo parlarne in un anno di poca neve, senza farsi troppo impressionare da stagioni invernali come quella dello scorso anno con forti nevicate, un'eccezione rispetto purtroppo alla tendenza del riscaldamento globale. Quindi bisogna avere testa per agire sul comparto funiviario e bisogna farlo con un occhio di riguardo ad una vera programmazione di lungo periodo. Ciò implica anche il marketing e cioè la capacità di vendere i prodotti, ma questo significa anche creare una vocazione per ciascuno e collegare le stazioni all'anno sa questione dei posti letto ed allo "scongelamento" dei letti freddi delle troppe seconde case occupate poche o persino chiuse. Ci vuole un'idea complessiva che sposi anche la scelta che i privati non sono brutti e cattivi ed il "pubblico" non è la sola panacea per via di risorse calanti che vanno allocate anche altrove. Ma la Politica appestata dall'instabilità e dal cambio di dirigenti come fossero mutande, si trova in grave carenza di capacità decisionale e questa circostanza complica tutto. Bisogna mettere al riparo le scelte di media e lunga gittata dai capricci elettoralistici che significano anche promesse a vanvera, perché impegnarsi senza avere sicurezza sulle risorse e sulla fattibilità reale (penso alla problematica "Cogne - Pila" o al discusso "Valtournenche - Ayas", via Cime Bianche) rischia di creare molte illusioni e forse distogliere l'attenzione da un settore impiantistico che rischia grosso già sulle infrastrutture esistenti. Malgrado le mirabolanti interviste ottimistiche e gioiose di qualche addetto del settore, che non conosce la nobile arte della cautela.