Il tempo passa e se ne va e, per non sprecarlo, bisogna pensare sempre a come adoperalo. Quando ho dato la Maturità nel 1978 i sessantenni erano nati nel 1918, oggi che anche io ho traguardato quell'età i sopravvissuti di quegli anni sono pochi (ho una vicina di casa di 104 anni!). D'altra parte il mio nonno paterno René era del 1867 (mia nonna Clémentine del 1881), mentre quello paterno Emilio del 1880 (mia nonna Ines del 1898). Questo per dire come, per quanto la vita si allunghi per nostra fortuna, i passaggi generazionali restino rapidi e questo vuol dire che per assicurare continuità - come avviene in qualunque specie su questa nostra benedetta Terra - si tratta di far ruotare tutto attorno a qualche caposaldo fra continuità e novità. Scriveva Omero nell'"Iliade": «Come è la generazione delle foglie, così è anche quella degli uomini. Le foglie, alcune il vento ne versa a terra, altre il bosco in rigoglio ne genera, quando giunge la stagione della primavera: così una generazione di uomini nasce, un'altra s'estingue».
Perché ciò avvenga, la prima osservazione - banalissima - è che bisogna avere dei figli, in secondo luogo è necessario consentire loro di svilupparsi in un ambiente il più possibile favorevole e dando a chi ci seguirà la possibilità di prendere in mano le responsabilità e di esprimere i propri talenti. Ci pensavo in occasione della protesta per reagire contro i rischi crescenti dovuti ai cambiamenti climatici, che hanno portato in piazza ad Aosta cinquecento ragazzi in cui mi sono piacevolmente immedesimato, pensando alla responsabilità comune che abbiamo e per gli adulti questi vuol dire non solo cedere bene il testimone, ma riflettere sulle proprie responsabilità per chi verrà dopo di noi. Di questi tempi ragioni su due punti che ritengo cruciali. Il primo è, fatte salve le responsabilità che i ragazzi di oggi avranno di forgiare il loro domani certo sulla base di quel che trovano, come si possa trasferire quell'insieme di competenze che ciascuno di noi ha accumulato. Io ci penso in particolare rispetto alla Politica, dove penso immodestamente di avere appreso tante cose che vorrei condividere di più non con saccenza o reducismo, ma perché credo davvero che ci siano elementi utili. Io stesso, in molte circostanze, sono stato fortunato a trovare persone che mi hanno aiutato, con la loro esperienza e con il loro esempio, ad incanalare quelle mie energie giovanili che forse avrei sprecato, se qualcuno con saggezza non mi avesse offerto una parte di quanto da lui appreso nel tempo. Il secondo aspetto - vecchia storia - è come con un numero sempre più ridotto di giovani per via della crisi demografica su possa evitare di sprecare i talenti che ciascuno ha. Torno su questa parola desueta "talento" che mi piace moltissimo. Ne ricordo l'origine: dal greco "tàlanton", che significava "piatto della bilancia, peso, somma di denaro" - acquisendo prima il senso di inclinazione (nell'immagine dell'inclinazione della bilancia), e poi diffuso col pieno significato attuale attraverso la parabola evangelica dei talenti. La parabola parla di un uomo che parte per un viaggio e affida i suoi beni ai suoi servi. A un servo affida cinque talenti, a un secondo due talenti e a un terzo un talento. I primi due, sfruttando la somma ricevuta, riescono a raddoppiarne l'importo; il terzo invece va a nascondere il talento ricevuto, sotterrandolo. Quando il padrone ritorna apprezza l'operato dei primi due servi e condanna, invece, il comportamento dell'ultimo. Purtroppo è vero che molte volte certi talenti sono stati sepolti. Già solo pensando ai miei compagni di scuola nelle scuole di ogni ordine e grado - posso testimoniare di come moltissimi abbiano avuto una vita in cui, per varie ragioni, non hanno potuto investire su quelle doti e capacità che avrebbero potuto esprimere. Per questo bisognerebbe trovare - ad esempio nel vuoto della Politica moderna in cui manca come non mai il confronto e la riflessione - questo benedetto ponte fra generazioni, che è crollato per una complicata serie di ragioni, sapendo che a questo si aggiunge il dovere di consentire al piccolo numero di valdostani di domani di indirizzare le proprie forze senza lasciare nessuno per strada ed evitando di sprecare ogni scintilla di intelligenza.