"Buonismo" è un neologismo e si tratta di una parola che, come avviene in molti casi, viene usata ormai come uno sfottò, anche se potrebbe avere un suo uso diverso, che - disvelo subito il mio pensiero - potrebbe svelenire certi eccessi attuali della civile (incivile?) convivenza dalla riunione di condominio all'Assemblea delle Nazioni Unite. L'origine la ricordava Giacomo Papi sul IlPost: «La parola "buonismo" fu inventata dal professor Ernesto Galli Della Loggia in un editoriale intitolato "L'Ulivo di Prodi o Garibaldi" pubblicato il 1° maggio 1995 sulla prima pagina del "Corriere della sera"». In realtà pare che l'aggettivo fosse stato giù usato da Edoardo Sanguineti nel quadro di un articolo di critica letteraria, ma l'uso politologico è quello più praticato.
Prosegue più avanti l'articolo: «In un articolo su "Repubblica", Roberto Saviano ha proposto di abolire il termine, ormai diventato "una specie di scudo contro qualsiasi pensiero ragionevole, contro qualsiasi riflessione in grado di andare oltre il raglio della rabbia e la superficialità del commento". Ma abolire una parola è impossibile, e forse sbagliato, soprattutto se questa parola svolge una funzione sociale e politica importante, centrale nel discorso pubblico. Come ha scritto Michele Serra, il buonismo "è un alibi insostituibile", perché "serve a ridurre ogni moto di umanità o di gentilezza a un'impostura da ipocriti, e di conseguenza ad assolvere ogni moto di grettezza e di disumanità"». Insomma il buonista può essere... buono vero e non un fesso che si fa abbindolare o un ipocrita che distoglie l'attenzione dai suoi veri comportamenti. Ci penso rispetto ad una certa crescente aggressività attorno a noi, non dico nei massimi sistemi ma proprio nella quotidianità, dove si appiccano facilmente liti e polemiche in una sorta di nervosismo diffuso. Spesso ormai non ci sto: trovo che bisognerebbe distinguere lo stretto indispensabile del "cattivismo" (figliato nel 1995 come contrapposizione al neonato "buonismo") da quegli eccessi che oggi viviamo. Per questo propongo un utile esercizio mentale, che parte da un vecchio romanzo francese trasporto anche in un film e in successivo remake. Si tratta di un libro "La guerre des boutons", significativamente scritto qualche anno prima dello scoppio della Grande Guerra, nel 1912, da Louis Pergaud, autore franc-comtois. Si tratta di una guerra combattuta in una paesino della Provincia francese fra bande di ragazzi, il cui bottino più ambito è togliere i bottoni dei vestiti dei propri "nemici". Si comincia così sino alla nudità e l'escalation è così descritta nel libro: "Il commença par la blouse, il arracha les agrafes métalliques du col, coupa les boutons des manches ainsi que ceux qui fermaient le devant de la blouse, puis il fendit entièrement les boutonnières, ensuite de quoi Camus fit sauter ce vêtement inutile; les boutons du tricot et les boutonnières subirent un sort pareil; les bretelles n'échappèrent point, on fit sauter le tricot. Ce fut ensuite le tour de la chemise: du col au plastron et aux manches, pas un bouton ni une boutonnière n'échappa". Ebbene quante "guerre dei bottoni", cioè con inutili azioni e spreco di energie, combattiamo ogni giorno senza che alla fine ce ne sia davvero bisogno? In questo, una dose di buonismo che serva per allungare i tempi di reazione e «mettere dei fiori nei nostri cannoni» della nostra quotidianità non sarebbe così male. Se proprio dobbiamo trovare un termine dispregiativo andrebbe usato il francese "angélisme", che viene da "ange, angelo", e potrebbe suonare "angelismo". La definizione è questa: "Attitude spirituelle ou intellectuelle consistant dans le souci excessif de se conformer à un type idéal ignorant ou refusant d'admettre certaines réalités humaines (charnelles, morales, sociales, matérielles, etc.)". Mi pare corrisponda meglio a chi vuole vivere su di una nuvoletta.