Cosa diavolo sta succedendo in Valle d’Aosta? Questa domanda è quella che più mi viene fatta di questi tempi sia da persone conosciute che incontro in diverse situazioni sia da persone sconosciute che mi fermano persino per strada per chiedermi come mai la situazione sia così - come dire? - depressiva e deprimente. Immagino che ciò avvenga perché si ritiene, a torto o a ragione, che io sia una persona di esperienza e certo mi fa piacere anche se le risposte non sono semplici. Non ci vuole molto in effetti a capire che le cose non vanno bene: basta guardarsi attorno per capire che quella iniziale non è per nulla una domanda retorica. Penso - come ultime tappe a ritroso - al Politecnico di Torino che se ne va da Verrès, alle rotture violente dentro l’Università valdostana, ai problemi emersi al Forte di Bard. Per non dire di temi drammatici come il Casino di Saint-Vincent o i soldi perduti per un cattivo impiego dei fondi comunitari per non aggiungete l’impoverimento progressivo del tessuto economico. La credibilità della Valle è messa poi a dura prova da inchieste, scandali e scandaletti che indignano e sporcano un’immagine ben diversa sino a non molto tempo fa.
Mi fermo qui per evitare un lungo elenco e per non perdere tempo vien voglia di invertire l’onere della prova e farci elencare dagli ottimisti residui quali siano le eccellenze e le punte di diamante di questi tempi nella nostra Verda Vallaye. Mi fa piacere che, tolti i grotteschi eccessi di ottimismo e scartati i soliti catastrofisti degni di miglior causa, in molti - almeno in apparenza - cerchino risposte e predichino momenti unitari per ripartire. Quel che conta, infatti, è il futuro. Lo dico con chiarezza, allineandomi al contenuto del libro postumo libro di Zygmunt Bauman, il grande sociologo polacco, con un titolo, che è un neologismo inventato dallo stesso autore: Retrotopia.. La “retrotopia”, infatti, spiega Bauman, è l’inverso dell’utopia, è dunque un’utopia che paradossalmente guarda all’indietro. Scelta spiegabile con l’idea di collocare nel tempo passato – e non più nel futuro o in un luogo ancora da riempire di contenuti – l’immaginazione di una società migliore. La tesi di Bauman è che oggi il cambiamento non sarebbe – come nelle società di utopisti del passato, che ho tanto amato nei miei studi - più pensato come un viaggio verso l’avvenire, condito di società nuove e con nuovi paradigmi, ma come uno sguardo rassicurante all’indietro, verso un tempo noto, rassicurante e, soprattutto, dotato di straordinarie potenzialità inespresse o negate. Pensieri che colorano di rosa il passato a fronte fallimento delle utopie futuriste (spesso connesse a ideologie diventate ideologismi) e l’incredulità ormai conclamata verso il mito del progresso. Osserva Bauman: “Poiché ormai il futuro è per noi associato a un’idea di ‘sempre peggio’, o quanto meno di ‘sempre uguale’ (…) non sorprende che quando cerchiamo idee che abbiano davvero un significato finiamo per rivolgerci, carichi di nostalgia, alle grandiose idee sepolte (forse prematuramente?) nel passato”. Aggiunge il sociologo, in un’altra parte del libro: "Nella staffetta della storia, l’«epidemia globale di nostalgia» ha raccolto il testimone dalla precedente «epidemia della smania per il progresso» che ormai si estende, gradualmente ma inesorabilmente, a tutto il mondo. La corsa prosegue" L’autore si spiega ancora meglio in una lunga citazione che qui riporto: “"La nostalgia–dice Svetlana Boym, docente di Letterature slave e comparate a Harvard– «è un sentimento di perdita e spaesamento, ma è anche una storia d’amore con la propria fantasia». Nel Seicento la nostalgia era considerata una malattia da cui si poteva guarire: per curarla i medici svizzeri, ad esempio, raccomandavano oppio, sanguisughe e una gita in montagna; ma «nel ventunesimo secolo quella lieve indisposizione si è trasformata in una condizione insanabile. Il ventesimo secolo, iniziato con un’utopia futurista, si è chiuso con la nostalgia». Boym conclude diagnosticando «un’epidemia globale di nostalgia, un anelito sentimentale a far parte di una comunità dotata di memoria collettiva, un desiderio struggente di continuità in un mondo frammentato» –un’epidemia che Boym interpreta come «meccanismo di difesa in un periodo contrassegnato da ritmi di vita accelerati e da sconvolgimenti storici». Quel meccanismo si riassume nella «promessa di ricostruire una casa ideale, con cui molte delle ideologie oggi tanto influenti ci invogliano ad abbandonare il pensiero critico per i legami emotivi». Boym ci avverte: «Il pericolo della nostalgia è che tende a confondere la casa vera con quella immaginaria»". Questo per dire, con chiarezza, che non si tratta di lodare il passato, ma semmai di ricostruire gli avvenimenti che hanno portato all’attuale decadenza come esame dei fatti e in certi casi delle responsabilità utile per esigenze di giustizia, ma davvero per guardare avanti senza atteggiamenti inutilmente nostalgici.