Io me li ricordo i muli. C'erano quelli che facevano la naja: da studente li vedevo sfilare con gli alpini che attraversavano Aosta per le loro missioni, poi - non da alpino perché non ho fatto il militare - nei miei ruoli politici visitai parecchie caserme e ricordo bene le salmerie con i muli che ti guardavano per storto, come dire «Che cosa vuoi?». Erano già gli ultimi sopravvissuti di un'epoca passata: ricordo di aver visto in azione piccoli cingolati con l'annuncio che avrebbero sostituito ad un uso bellico i quadrupedi. Ha scritto sul "Secolo Trentino" lo scrittore Stefano Peverati: «La collaborazione tra l'animale e le Penne nere risulta fin dalla fondazione del Corpo degli Alpini nel 1872. Il mulo è un animale sterile, nato dall'incrocio di un asino con una cavalla che a seconda delle razze incrociate presenta diversi aspetti e dimensioni, ma che presenta ottime caratteristiche nella soma, nella resistenza alle malattie e capacità di adattarsi in ambienti sfavorevoli».
«Proprio in base alle diverse dimensioni dei muli - prosegue l'articolo di Peverati - il Regio Esercito li suddivideva in tre classi: 1° classe carichi pesanti come il mortaio da 120 mm, mentre le altre due classi valide per il trasporto di munizioni e vettovagliamenti. Il mite e fedele animale rappresentò una risorsa fondamentale per la logistica nel corso della Prima Guerra Mondiale, il solo in grado di arrampicarsi per i difficili sentieri montuosi del fronte italiano, a cui vennero attribuiti successivamente il nome di mulattiere. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale 520.000 muli seguirono i valorosi Alpini ovunque ce ne fosse bisogno, prima sul fronte greco-albanese e successivamente nella immensa steppa dell'Unione Sovietica. Nonostante l'avvento di potenti mezzi fuori strada, a inizio anni 90, ancora settecento muli servivano le allora cinque Brigate Alpine: "Cadore", "Julia", "Orobica", "Taurinense", "Tridentina", dimostrandosi ancora valide risorse, ma la fine della Guerra Fredda ed i successivi tagli alla Difesa li costrinsero al congedo. Il 29 agosto 1993, dopo 121 di onorato servizio, gli ultimi ventiquattro muli dell'Esercito Italiano andarono all'asta mettendo fine ad un epoca. Queste parole presenti sulla tomba di un mulo presente in Val Pusteria riassumono l'importanza del legame tra muli ed Alpini: "Generoso animale che ha sempre dato agli uomini senza mai pretendere nulla che non fosse un po' di biada e un po' di attenzione, anch'esso avviato, purtroppo, sulla triste via dell'estinzione. Compagno d'armi, pioniere delle nuove conquiste, forte negli aspri cimenti, paziente nelle dure privazioni. Dimenticato dai più nella gloria della vittoria..."». Nel "civile" ho visto molti muli, accompagnando mio papà nelle stalle. Antesignani di trattori e "Api", in assenza di strade poderali e mezzi che le percorressero era usuale il loro impiego sulle nostre montagne. Sul carattere del mulo in patois si conferma la loro tempra («Ëtre tsardzà comme un meulet» ) ed il loro carattere («Ëtre tétu comme un meulet»). E' di questi giorni la notizia della morte di "Iroso", il più anziano mulo alpino in vita, avvenuta a Cappella Maggiore in provincia di Treviso. Aveva quarant'anni ed era stanco ed acciaccato, sebbene accudito con amore da tutte le penne nere locali. Per anni "Iroso" era stato in forza alla Brigata Alpina Cadore, fino al 1993 quando l'esercito lo aveva - come ricordavamo - messo all'asta insieme ad altri muli e molte persone si adoperarono per strappare questi animali al macello. Tra questi c'era anche Toni De Luca che lo aveva portato nella sua stalla ad Anzano. Da allora "Iroso" era diventato una mascotte per la sezione "Ana" di Vittorio Veneto e del reparto "Salmerie". Ferdinando Camon - grande scrittore veneto, classe 1935 - ha cesellato in memoria dell'equino defunto questo bel commento sulla "Tribuna" dì Treviso: «Ahi, anche "Iroso" è andato avanti. Ricevo ogni tanto email dai miei colleghi di corso, di reparto, di naja, e ogni email ha in coda la luttuosa notizia che informa: "Il Tale è andato avanti". Andare avanti significa precedere gli altri, arrivare prima, raggiungere lo scopo, la vetta. Solo gli stupidi lo intendono come "morire". Tra compagni di naja, di reparto, di corso, non si muore mai. Chi va avanti, aspetta gli altri. Chi è indietro, sa che è atteso. Dunque "Iroso" è andato avanti. "Iroso" è un simbolo, il simbolo di tutti i muli, perché era il più vecchio, e dunque li rappresentava. Era amato per questo. Era vezzeggiato, carezzato, ben nutrito, ben curato. Esibito. Vedo le foto del governatore del Veneto che carezza "Iroso". Non carezza solo "Iroso", un mulo, ma i muli, e con essi gli alpini che - chiedo di essere ben capito - erano i muli umani delle montagne. Infaticabili, docili, obbedienti, grati. Una volta facemmo una manovra ai confini con l'Austria, una di quelle manovre che fingono di essere operazioni reali, e dunque prevedono punizioni severe per chi sbaglia. Marciammo per dodici ore, mangiando al sacco. Alla sera piantiamo le tende. Via radio arriva la notizia che non avremmo mangiato, perché i muli avevano sbagliato sentiero ed erano finiti in mano al nemico. A guidare i muli doveva essere uno più stupido dei muli, i muli da soli non sbagliano strada. Cinque minuti d'imprecazioni. Poi gli alpini si disperdono per i monti, girando in cerca di mucche da mungere, e tornando con la gavetta piena di latte. lo m'ero già sdraiato per dormire, quando un alpino entra nella mia tenda e mi offre la sua gavetta piena di latte tiepido. Gli alpini eran fratelli tra loro. Erano coraggiosi, anche più degli ufficiali. In vetta arrivavano sempre per primi. Se c'era un passaggio difficile, loro, quelli della squadra rocciatori, si legavano alla montagna per afferrare al volo e deporre dall'altra parte quelli che arrivavano. Noi eravamo del "Settimo", le nostre montagne erano il Pelmo, il Civetta, l'Antelao, le Tre Cime di Lavaredo. Il "Latemar", che era (ma questo era un segreto militare) la nostra "linea di estrema difesa". In vetta al Pelmo si sale per una cengia esposta, che per un piccolo tratto era crollata (adesso il crollo è molto più lungo, e ci hanno messo un tratto di ferrata), c'era un salto da fare, un salto di due metri, una sciocchezza, se non fosse che sotto c'era uno strapiombo di duecento metri. Dall'altra parte del salto ponemmo un alpino rocciatore, assicurato alla montagna con corde e moschettoni, chi arrivava gli saltava in braccio, lui lo afferrava e lo metteva giù. Come sono arrivato io, l'ho guardato negli occhi, lui ha sorriso, mi son buttato e come vedete sono ancora vivo. Vedo ancora il suo sorriso. Se lo incontro, lo riconosco. Anche nel mondo di là. Strano, in una brigata veneta, era un piemontese. Un alpino inchiodato sulla cengia serve se devi saltare uno strapiombo, ma se devi percorrere un sentiero a picco sul vuoto, servono i muli. Ad ogni mulo s'attacca alla coda un alpino, il mulo va dritto, e l'alpino dietro, a occhi chiusi. Non vinci le montagne se non hai i muli. "Iroso" era un condottiero degli alpini veneti. È andato avanti. Ci aspetta. Prima o poi arriveremo. Con i muli sei sicuro, con "Iroso" di più. I muli erano i migliori alpini del Reggimento, e "Iroso" era il migliore tra i migliori. Merita una tomba. E una lapide». In racconto di un mondo che ormai è scomparso: l'esercito professionale, ineluttabile di questi tempi, genera storie e sentimenti diversi.