Da che parte sta un "autonomista valdostano" sullo scacchiere della politica tradizionale "destra-centro-sinistra", ammesso e non concesso che sia ancora valida questa ripartizione? Già il termine "autonomista" ha assunto uno spettro talmente largo da averlo reso anodino, per cui forse gradirei di più - essendo "nazionalista valdostano" troppo scivoloso - "federalista valdostano", ma il federalismo è in Italia oggetto così misterioso da ingenerare sospetti. Poi ogni "autonomista" si porta dietro la necessità di rispondere alla domanda iniziale. I fondatori dell'Union Valdôtaine nel 1945, compresi quelli che poi scelsero di migrare verso partiti tradizionali e dunque collocati in uno scenario ben definito, risposero con un «prima valdostani», che poi nel tempo talvolta ha assunto l'idea del «Ni droite, ni gauche», che era una rappresentazione forse ingenua dello stesso assunto.
Oggi, con lo sbalestramento mondiale delle collocazioni politiche, questo "Valdôtain d'abord" vale ancora e l'antidoto federalista fa sì che storicamente chi si collochi in quest'area sia naturalmente contro ogni forma di totalitarismo, integralismo e di chiusura mentale. Questo non vuol dire affatto, rispetto alle alleanze necessarie in politica, guardarsi attorno, perché non esistono forme di monocolore nel futuro della Valle. Ma su alcuni punti bisogna essere attenti e smetterla con vecchi vizi politici, come osservava acutamente ieri Federico Rampini su "La Repubblica" raccontando una notizia passata abbastanza sottotono sui giornali: «I socialdemocratici in Danimarca hanno trionfato alle elezioni e conquistano il governo. La nuova premier sarà donna e la più giovane nella storia del paese: 41 anni. La destra è crollata. Una chiave del risultato? La leadership socialdemocratica ha adottato una linea dura sull'immigrazione. Ha vinto con un classico programma di sinistra "sociale": più spesa pubblica, più tasse sui ricchi. E controlli rigidi sugli arrivi di stranieri, per salvaguardare un welfare state tra i più generosi del mondo. E' stata appresa la lezione svedese. Nel vicino paese scandinavo l'elettorato premiò l'estrema destra per reazione a un flusso incontrollato di stranieri (la loro quota in Svezia è triplicata), i quali fino a un'epoca recente al varcare la frontiera acquisivano tutti i diritti sociali per i quali gli svedesi si tassano spietatamente da molte generazioni». Chiara l'antifona di come le vecchie collocazioni saltino di fronte alla concretezza e persino la brutalità delle questioni più annose, che influenza l'elettorato? Aggiunge Rampini: «Il ripensamento della sinistra scandinava rispecchia un fenomeno in atto negli Stati Uniti e altrove. Un segnale della riflessione autocritica sugli errori del passato è su una delle riviste più autorevoli della sinistra americana, "The Atlantic". David Frum vi ha pubblicato un saggio sulle politiche migratorie con questo titolo-shock: "Se i progressisti non fanno rispettare le frontiere, ci penseranno i fascisti". Nel lungo articolo tornava più volte sul concetto: se la sinistra si ostina a dire che governare l'immigrazione è una cosa da fascisti, spinge verso l'estrema destra tanti cittadini che vogliono il rispetto delle leggi. Un'altra firma del giornalismo liberal, Thomas Friedman, ha scritto sul "New York Times" che il Muro al confine non va demonizzato (peraltro iniziò a costruirlo Bill Clinton): ciò che deve distinguere la sinistra da Donald Trump sono altre cose, dai percorsi di sanatoria legale per i clandestini alle misure di aiuto verso i paesi del Centramerica». Prosegue l'articolista, dicendo cose per nulla banali: «Il più radicale di tutti i candidati alla nomination democratica per la Casa Bianca, quel Bernie Sanders che non esita a proclamarsi socialista, ha sempre voluto norme rigorose sull'immigrazione. Consapevole di una legge ferrea del mercato del lavoro: l'afflusso di manodopera povera fa bene ai profitti delle imprese, riduce il potere contrattuale dei lavoratori. Non a caso il grande capitalismo americano e gli editorialisti del "Wall Street Journal" non perdonano a Trump la propaganda sul Muro. Sanders non è un caso isolato. Joe Biden, per ora in testa ai sondaggi fra i democratici, da senatore approvò la costruzione di pezzi di Muro sotto l'amministrazione Bush. Una parte dei democratici americani considera sbagliato ciò che accadde prima delle legislative di mid-term. Le elezioni del novembre scorso furono precedute da atti dimostrativi contro la frontiera: alcune carovane di richiedenti asilo venuti da Guatemala e Honduras furono organizzate come delle proteste contro "l'illegittimità" del confine. Frange radicali della sinistra, facendo propria l'ideologia "no-border", proposero un referendum popolare per abolire l'Immigration and Customs Enforcement "Ice", l'agenzia federale che gestisce la polizia di frontiera. Quel tipo di propaganda probabilmente aiutò Trump ad agguantare una sorta di pareggio elettorale: i repubblicani persero la Camera ma rafforzarono la loro maggioranza al Senato (il che allontana l'ipotesi dell'impeachment)». Così si conclude l'articolo, che è una cartina di tornasole della complessità cui ci si trova di fronte e al rischio di chi affronta i temi seguendo più sentimenti che razionalità: «ll dibattito a sinistra non ha visto il prevalere di una tesi o di un'altra. Rimangono in seno al partito democratico delle tendenze molto radicali. Almeno cinque candidati restano favorevoli all'abolizione dell'Ice, tra cui Elizabeth Warren, Kamala Harris e Bill de Blasio. Sarà uno dei temi principali su cui la base democratica verrà chiamata a pronunciarsi nelle primarie. Riecheggiando la vicenda scandinava, la vecchia guardia dei Biden e Sanders ricorda che l'America ebbe la sua stagione più equa e solidale nell'epoca da Franklin Roosevelt a John Kennedy: allora fu costruito il welfare, si rafforzarono i diritti dei lavoratori, la tassazione divenne fortemente redistributiva. Fu anche un periodo di restrizione dei flussi migratori. Dopo le frontiere si aprirono, e iniziò lo smantellamento di tante conquiste sociali». Esempio illuminante di come di fronte ai problemi ci si debba porre con pragmatismo e non con il solito partito preso denso di ideologia e di slogan ripetuti sino ad allontanarsi dalla realtà (che sia chiaro che ciò vale anche per agita paure e dipinge mostri!). Più passa il tempo e più mi stremano quelli che seguono filoni di pensiero senza accettare discussioni e approfondimento nella convinzione di possedere la verità in tasca. La crescente complessità dei fenomeni dal locale al mondiale obbligano a scelte documentate e questo può essere il ruolo della politica autonomista, tagliate le estreme.