Un giornalista di lungo corso come Giovanni Bianconi ha scritto, in queste ore in un suo editoriale sul "Corriere della Sera", queste parole dedicate alla scoperta - che certo non stupisce più di tanto - di come anche l'organo di autogoverno della Magistratura sia sottoposto a logiche politiche e correntizie, che sono sfociate persino e purtroppo in manovre su nomine piccole e grandi. Così Bianconi: «Lo sfregio a un'istituzione di rango costituzionale come il Consiglio superiore della magistratura potrà forse essere coperto con le dimissioni degli ultimi consiglieri che ancora non si sono rassegnati ad abbandonare l'incarico dopo essere stati sorpresi da una microspia a trattare le nomine degli uffici giudiziari, nottetempo, in un albergo romano con altri magistrati e parlamentari che nulla avrebbero dovuto avere a che fare con quelle scelte. Anzi, prima si arriverà all'avvicendamento di tutte le persone coinvolte nel cosiddetto "mercato delle toghe", prima si potrà porre fine al discredito che sta investendo l'organo di autogoverno dei giudici presieduto dal capo dello Stato. Il quale non a caso ha già indetto le elezioni suppletive dei due consiglieri-pm che hanno rimesso il mandato, considerandole il "primo passo per voltare pagina" e restituire "fiducia e prestigio" incrinate agli occhi dei cittadini. Ma le vicende di questi giorni vanno oltre l'imbarazzo generale e i destini dei singoli consiglieri finiti sotto procedimento penale o disciplinare, che continuano a rivendicare la propria correttezza e si difenderanno come meglio riterranno davanti alle autorità competenti».
I magistrati non sono esseri angelicati e soprattutto non sono al di sopra della legge. Ma di sicuro se la logica della casta è stata rimproverata - secondo le circostanze - ai giornalisti ed ai politici, anche i giudici con diversi meccanismi, compresi gli stipendi, non scherzano affatto ed è vero che ogni tanto si è scambiata la sacrosanta logica dell'indipendenza in logiche autoassolutorie ed una specie di paravento in favore di chi sbaglia spesso sulla pelle dei cittadini. Ancora Bianconi, che parla di «cattive pratiche e problemi di fondo che non sembrano destinati a risolversi con l'uscita di scena dei presunti responsabili». Ed aggiunge: «non siamo più alla "degenerazione del correntismo" e alle spartizione delle cariche. Le trame venute alla luce vanno oltre le vecchie divisioni culturali o ideologiche all'interno della magistratura; non siamo più alle contrapposizioni tra gruppi, che per quanto criticabili e troppo simili alle logiche della politica avevano almeno il pregio della chiarezza. Qui si sta delineando un intreccio di interessi privati e schieramenti trasversali che per motivi vari doveva porre fine a un'epoca e aprirne un'altra nella gestione dell'ufficio giudiziario più importante d'Italia, la Procura di Roma, secondo i piani di un "gruppo misto" di magistrati e deputati. Non c'entrano le correnti, c'entra semmai la loro debolezza; oggi contano più le persone e certe affinità legate a singoli obiettivi a cui i gruppi organizzati si sarebbero dovuti piegare, che i vecchi schemi rigidi e predefiniti. Un'evoluzione (o involuzione) che s'è già verificata nei partiti, smascherando difficoltà e debolezze nella selezione della cosiddetta classe dirigente e evidenziando un problema che ora si ripropone per la magistratura; in particolare quando deve scegliere quel ristretto numero di rappresentanti chiamato a governare e decidere, attraverso l'organo di autogoverno, le sorti di tutti gli altri. A partire da nomine e avanzamenti in carriera». Questo è il quadro di grande chiarezza, che disvela elementi gravi e comportamenti sbagliati, che mostrano come l'autogoverno della Magistratura deve prevedere meccanismi diversi. Se è vero che sono stati giudici, quelli di Perugia, territorialmente competenti sulle vicende romane, scoperchiando il pentolone, è altrettanto vero che ci vorrebbero forse autorità indipendenti che possano rispondere alla solita e antica domanda: «chi controlla i controllori?».