Con tutta franchezza non ci voleva una grande scienza a capire che la canicola avrebbe spinto molti cittadini dalla pianura ancora più di assolata di quanto fossero le nostre montagne per cercare frescura a quote più alte. Immagino poi che i dati autostradali dimostrassero l'avvenuta salita verso le nostre vallate per il finesettimana o per la gita solo domenicale, cui si sommava naturalmente - specie lungo l'asse autostradale valdostano - anche il traffico vacanziero a lunga percorrenza attraverso trafori e colli. Per cui l'ingorgo di rientro di domenica sera non credo fosse, a conti fatti, una sorpresa vera e propria, ma la semplice ridiscesa in massa di chi era salito in modo più scaglionato. Eppure domenica con code chilometriche sull'autostradale e sulla statale 26 è andata in onda una débacle, che certo dimostra positivamente che la Valle attira, ma certo lunghe attese non possono che sconsigliare di tornare se poi si deve viaggiare come lumache al ritorno a casa.
Sotto accusa naturalmente due fattori: il primo sono i cantieri autostradali, specie i cambi di corsia con particolare rallentamento nelle gallerie in rifacimento che hanno bloccato il traffico; il secondo è la sostanziale assenza di sistemi intelligenti d'informazione stradale che già lungo le vallate o lungo l'asse centrale avvertano gli automobilisti, invitandoli ad aspettare prima di scendere per evitare imbuti e ingorghi. Già l'autostrada, concorrendo al record delle tariffe per chilometro in Europa e forse nel mondo, ha prezzi stellari e ciascuno di noi ha qualche amico turista che ha messo sulla Valle d'Aosta una pietra sopra, trovando insopportabili i costi che sono saliti a prezzi pazzeschi e persino insensati. Qualunque autorità che si occupi di concorrenza e chi è tenuto per dovere d'ufficio a verificare il rispetto delle concessioni in essere (in scadenza nel 2032 e in tema di concorrenza fa ridere per non piangere) dovrebbe aprire un'inchiesta su questi rincari, fare un accertamento certosino sulla cadenza, sulle ragioni di certe opere e sul rispetto degli impegni assunti e soprattutto sulle giustificazione addotte per i rincari periodici. Credo che si scoprirebbero cose molto interessanti e specie le autorità europee dovrebbero accendere i fari su pedaggi che diventano gabelle. Da utente della strada, che gira spesso, trovo che la privatizzazione con due gruppi quasi duopolisti - Gavio e Benetton (che hanno pure "Autogrill"!) - ha peggiorato la situazione rispetto alla gestione di "Autostrade SpA" che era dello Stato e di cui avevamo detto il peggio possibile ed invece oggi tocca persino rimpiangere questa logica da partecipazioni statali e ciò vale anche per la vecchia storia dei troppi appalti non messi in gara ma gestiti con società proprie, che stridono con la logica di mercato. Ha scritto un annetto fa sul suo blog Massimo D'Antoni, economista che insegna Scienza delle finanze all'Università di Siena, riferendosi alla privatizzazione delle autostrade in Italia: «Un errore (se solo errore è stato) nella determinazione della regola di prezzo, fissata senza tenere conto degli effetti dell'aumento vigoroso del traffico autostradale nei primi anni 2000, ha determinato profitti molto elevati già negli anni immediatamente successivi alla privatizzazione. Da ciò sono derivate da un lato la necessità di faticose rinegoziazioni della regola di determinazione del prezzo, dall'altro l'attuale feroce reazione dell'opinione pubblica, che mal sopporta il contrasto tra lo stato percepito delle nostre strade e la generosità dei dividendi agli azionisti. A fronte dei brillanti risultati per gli azionisti, gli investimenti effettuati sono risultati sistematicamente inferiori a quanto programmato; la società concessionaria ha spesso attribuito la responsabilità di tali ritardi a ostacoli amministrativi posti dal pubblico, ma questo non fa che evidenziare la difficoltà di funzionamento di qualsiasi schema incentivante quando le responsabilità di diversi soggetti (in questo caso regolatore pubblico e regolato privato) sono così difficilmente distinguibili. La necessità di continue revisioni dello schema regolatorio nel (quasi) ventennio dalla privatizzazione delle autostrade e l'attuale contraccolpo negativo nel consenso dell'opinione pubblica rispetto alla privatizzazione delle infrastrutture sono, potremmo dire, il riflesso della distanza tra un modello (troppo) astratto e la pratica reale della regolazione». Ciò dimostra come il caso valdostano non sia risolvibile con un ingenuo «compriamo noi le autostrade», ma battendosi in Italia (abbiamo davvero due parlamentari?) ed in Europa per ripristinare una situazione logica di tariffe accettabili e qualità delle strade e dei servizi. Penso alle gallerie che si stanno rifacendo a Montjovet e Hône con interventi gravemente tardivi, visto che la "Sav" sa benissimo da decenni quanto stessero invecchiando rispetto agli standard di sicurezza ormai previsti per non dire di certe aree di sosta penose come quelle di Châtillon. L'atteggiamento delle autostrade è da logica colonialistica per infrastrutture in cui la stessa Valle d'Aosta ha messo illo tempore i soldi e l'impegno e queste strade, sino a prova contraria, agiscono sul nostro territorio e non si possono accettare situazioni che danneggiano la mobilità dei residenti, costretti dal portafoglio a stipare la Statale sempre più trafficata e senza lavori decisivi in certe strettoie e che picchiano duro sul turismo e basta vedere le tariffe fra Milano e le Dolomiti via autostrada e compararle con i costi per le nostre destinazioni per schiumare di rabbia. Non basta l'effetto annuncio, letterine ai ministri e Piani trasportistici interessanti ma nella sostanza fumosi sul breve periodo, forse è ora di cambiare ritmo e che la politica, in questo di sicuro spalleggiata dai cittadini tutti, alzi la voce e si faccia davvero minacciosa con carte bollate e persino manifestazioni. Perché la misura è colma.