Viaggiare serve per conoscere, magari preparandosi prima anche per la più banale e turistica delle destinazioni, che ha sempre un versante di scoperta che può stupire, ma non bisogna trovarsi sullo scenario come se fosse la ripetitiva località domestica. Altrimenti meglio la logica rassicurante della "stessa spiaggia, stesso mare" praticata, ad esempio, da miei genitori, che rende ogni estate la stessa ed è rassicurante come un nido confortevole. Mentre penso che guardarsi in giro, senza immaginare turismi avventurosi che sarebbero un lavoro, sia un dovere, perché ogni volta porti a casa qualcosa di nuovo. Con questo stato d'animo sono stato ad Istanbul per qualche giorno, visitando i luoghi topici in una corsa contro il tempo e forte di una serie di letture e cose studiate nel tempo che hanno reso tutto più interessante ed ancora.
Rifletto qui su questa città enorme e straordinaria a cavallo fra Europa e Asia, da Constantinopoli sino a Bisanzio, dall'antichità all'Impero ottomano sino alla Turchia proiettata da Mustafa Kemal Atatürk nella modernità e ora con Recep Tayyip Erdogan che mira a diventare punto di riferimento di gran parte dei Paesi islamici e gioca al limitare di una dittatura in un ambiguo rapporto con la Russia in barba alla storica alleanza con gli Stati Uniti. Atatürk diceva delle cose che dovrebbero far riflettere anche chi in Occidente agita la religione come vessillo da qualunque parte e vorrei ricordare come già questa attitudine in Italia c'è stata e con vivo insuccesso. Cito un suo passaggio come semplice esercizio di stile e risale al 1928, quando in Europa si stavano creando le precondizione per nuovi totalitarismi: «Non ho nessuna religione e, ad volte, vorrei vederle tutte in fondo al mare. E' una guida debole, colui che ha bisogno della religione per mantenersi al governo, è come se volesse intrappolare il proprio popolo. Il mio popolo imparerà i principi della democrazia, i dettati della verità e gli insegnamenti della scienza. La superstizione deve finire. Ognuno ha la libertà di adorare chi vuole e seguire la propria coscienza, a condizione che non interferisca con la razionalità e che non agisca contro la libertà dei suoi simili». L'Unione europea si allontana sempre di più e con franchezza credo da molti anni che la Turchia non sia Europa e chi la voleva inglobare anche in Italia lo faceva per interessi lobbistici senza una vision di cosa debba restare l'Unione senza balzi in avanti che peggiorino la situazione già di un'Europa in crisi nera per l'accelerazione del famoso allargamento ad Est, di cui non si poteva purtroppo fare a meno. L'impressione epidermica è di una megalopoli affollatissima (pensiamo se Atatürk non avesse sposato la Capitale ad Ankara!) che è viva ma molto caotica e con l'evidenza di un regime che sta abbandonando certa visione laica dello Stato, approdando ad un islamismo che odora di una visione integralista. Ma questo temo si confermerà nel tempo e intanto ci sono troppi burka per strada e lo Stato di Diritto latita in un crescendo di logiche liberticide verso la libertà di stampa e la neutralità dell'amministrazione. Per non dire della questione curda che - a parlarne ad Istanbul - genera un certo fastidio e cresce la certezza che certa propaganda riesca a mistificare la realtà anche in persone di grande spessore. La sconfitta di Erdogan alle elezioni comunali proprio di Istanbul è stata una sorta di salutare spazio di libertà contro di lui e la sua oligarchia, ma di questo tempo sotto ogni orizzonte piacciono gli "uomini forti", come se purtroppo la Storia non avesse insegnato nulla e fosse meglio avere dinamitardi ai posti di comando con esplosioni annesse e dunque con tutti i rischi del caso. Basta un cerino in un mondo che è una polveriera.