Anche da distante, come sono in questi giorni, seguo la cronaca valdostana, pur ripromettendomi di scrivere da qui - per necessità di decompressione - più di cose varie piuttosto che di storie della Valle con cui troppo spesso durante l'anno riempio questo mio spazio quotidiano. In molti casi si tratta di fatti attinenti la politica e le sue molte sfaccettature in un periodo nel quale c'è poco da stare allegri e covo sempre di più e direi ormai pugnacemente la determinazione che non si può assistere senza fare nulla a certo sfacelo. Un tempo la distanza impediva di stare in contatto e certe vacanze aveva un sano effetto di straniamento dalla quotidianità del tran tran della propria vita. Ricordo in fondo con ingenua nostalgia quando capitava davvero, neppure dovendo essere dall'altra parte del mondo, di ritrovarsi senza notizie di questioni domestiche.
La prima volta che mi capitò di fare un viaggio da solo avevo quindici anni e fu con amici il giro in moto della Camargue. Telefonare a casa era un'impresa ed il patto stipulato con i miei genitori fu «nessuna notizia, buona notizia», vale a dire che se mi fosse capita qualcosa lo avrebbero saputo di certo e dunque bastavano ed avanzavano rare telefonate di circostanza quando trovavo una cabina telefonica. Poi, crescendo e viaggiando, ho visto spesso il cambiamento epocale, quando mi trovai in un'isola tropicale e riuscivo a collegarmi agli esordi di Internet dal computer del villaggio con quel rumore inconfondibile di inizio del contatto e fu la fine di quel distacco da vacanza remota che permetteva di staccare davvero la spina. Oggi con il telefonino appresso, anche se lo lasci in camera, è come potersi trovare in ogni momento nel cortile di casa. Naturalmente senza avere quell'insieme di contatti ed informazioni che possono rendere più vivida e concreta ogni notizia, stando sul posto. Così mi sono figurato, leggendo di questa ultima operazione di 'ndrangheta sull'asse Calabria -Valle d'Aosta, che cosa possa pensare un lettore medio di fuori Valle delle continue e reiterate notizie di cronaca giudiziaria, che ormai costellano la società valdostana ed anche il suo mondo politico. Il pendolo oscilla sempre fra il fragore delle prime rivelazioni con fatti e personaggi e le risultanze processuali, spesso a distanza di molti anni per non parlare di certe prescrizioni o riabilitazioni del passato che consentirono verginità e rientro in politica a chi in un Paese normale avrebbe dovuto lasciare cariche pubbliche. Ma in Italia si pensa ancora oggi che un bel successo elettorale sia una specie di lavatrice e ci si appella spesso al voto popolare più che a ragioni morali, che altrove hanno il loro peso per chi si impegni in politica. Queste notizie periodiche di inchieste pesanti per la reputazione di una comunità intera, di attesa di processi che si protraggono con tempi biblici sino in Cassazione, di commenti fra innocentisti e colpevolisti senza toga e spesso per partito preso creano una situazione terribile nell'immaginario non solo di noi valdostani ma anche di chi non ci conosce e nel tempo ha dovuto cambiare giocoforza il suo giudizio per la cascata continua di vicende torbide. Ecco perché nel caso delle infiltrazioni della mafia calabrese - per fare un esempio concreto dello stillicidio nocivo - non si può avere ormai un atteggiamento attendista. Ma bisogna, senza colpevolizzare l'intera migrazione calabrese, avere dei punti fermi che uniscano e che non dividano per ragioni elettoralistiche o di posizionamento politico. E' infatti intollerabile che la maggioranza degli onesti debba subire una trasformazione radicale dell'immagine positiva e fattiva della comunità valdostana e dunque, fatta ammenda di troppi silenzi, complicità e sottovalutazioni, bisogna uscire dalla logica difensiva e talvolta piagnona e fare pulizia senza sconti. Esiste infatti il serio rischio che a cavalcare la situazione possano essere i molti che da sempre aspettano il momento buono per buttare via l'acqua sporca con il bambino, cioè l'Autonomia speciale, per sopraggiunta indegnità di tutto - chiamiamolo con triste linguaggio da inchiesta mafiosa - il "terzo livello", quello politico, che ha finito per svilire diritti e doveri. Sarebbe bene su questo chiedere gli opportuni distinguo e battere un colpo, evitando atteggiamenti millenaristici alla Savonarola con «tutti al rogo», ma distinguendo il grano dalla pula sia a difesa di chi ha agito correttamente sia di chi vuole impegnarsi in politica senza pensare che questo significhi insozzare la propria credibilità.