Ogni tanto mi guardo attorno e vedo con chiarezza come il nostro ambiente si stia modificando. I segni più macroscopici sono l'impazzimento del bosco che cresce in Valle d'Aosta con una rapidità inquietante, l'altro segno è la sofferenza dei ghiacciai che lasciano a pietrame e sfasciume uno spazio prima ben presidiato in un contesto di crescente rischio idrogeologico anche a quote più basse. Non so bene se questa sensazione - che provo quando vedo costruzioni che turbano ambienti che erano un tempo "vergini" - sia "solastalgia", che è un disturbo d'ansia, una sorta di nostalgia che si prova quando l'ambiente intorno a te cambia in peggio, inventata dal filosofo australiano Glenn Albrecht, che l'ha coniata qualche anno fa, quando lavorava alla "University of Newcastle", in Australia.
Una sorta di straniamento e persino malinconia - descritto con la fusione di due termini, uno dal latino "sōlācium, conforto" e l'altro dal greco "algia, dolore", che scatta «quando il tuo endemico» bisogno di sentirti al posto giusto, a casa, «è stato violato». In pratica, quando non si riconosce più l'ambiente in cui viviamo, quello che sentiamo più nostro, perché qualcuno l'ha rovinato e di questi tempi l'accusato numero uno - ma non è un fatto astratto, ma conseguenza anche di responsabilità umane - è il cambiamento climatico. Mentre ci pensavo, ho letto su "Obs" un articolo illuminante di Arnaud Gonzague: «C'est un événement qui ne passera certes pas inaperçu, mais n'aura pas l'impact médiatique qu'il mériterait. Car ce que l'histoire retiendra de l'année 2019, ce ne sont assurément ni les gesticulations médiocres des Trump, Salvini ou Johnson, ni même la férocité de Pékin contre les manifestants hongkongais, mais sans doute la disparition d'Okjökull - lequel, aujourd'hui, ne préoccupe qu'une poignée de citoyens écologistes "concernés" (comme si tout le monde ne l'était pas). Okjökull est un glacier situé à l'ouest de l'Islande qui occupait une surface de 16 kilomètres carrés à la fin du XIXe siècle et représente aujourd'hui moins de 700 mètres carrés. En à peine un siècle, cette masse compacte de neige, devenue patiemment un millefeuille de glaces sous la pression de la pesanteur et du temps, a fondu, fondu… au point de perdre l'appellation "glacier" par les scientifiques en 2014». E proprio nelle scorse ore si è celebrato una sorta di funerale del "fu ghiacciaio" con tanto di placca commemorativa, che così recita tra l'altro: "Qui c'era un ghiacciaio. Nei prossimi duecento anni si prevede che tutti i nostri principali ghiacciai saranno scomparsi. Questa targa dimostra che sappiamo quel che sta accadendo e cosa deve essere fatto. Solo tu saprai se lo abbiamo fatto". «La scomparsa di un piccolo ghiacciaio in Islanda non comporta una gran differenza ma indica ciò che sta accadendo in tutto il mondo - osserva Oddur Sigurðsson, il glaciologo che ha lanciato per primo l'allarme - per il quale, se verranno mantenute le previsioni di un innalzamento della temperatura di due gradi entro la fine del secolo in corso, nei prossimi duecento anni spariranno gli oltre trecento ghiacciai dell'Islanda, nome che, ricordiamo, significa "terra dei ghiacci"». Sulle Alpi c'è poco da stare allegri e anche se domani ci fossero azioni fortissime per invertire il riscaldamento globale ci vorrà tempo per far regredire il fenomeno di crescita delle temperature che squaglia anche in Valle i ghiacciai e se ne vedono i segni in maniera evidente grazie a quel "catasto ghiacciai" che funziona ormai da tempo e che registra i movimenti o meglio gli arretramenti. Purtroppo anche da noi, come nel caso islandese, ci sono ghiacciai "ingrigiti" e persino "morti", che meriterebbero anche loro una placca come ricordo e come ammonimento di un fenomeno che per ora non viene colto nella sua drammaticità da gran parte dei valdostani. Scriveva tempo fa la rivista della Regione "Environnement": "Ben lontani dall'essere solo un elemento esotico del paesaggio, confinati nelle regioni polari o nelle più alte catene montuose del pianeta, i ghiacciai sono sempre più riconosciuti come un elemento fondamentale dell'ecosistema globale. La fase di contrazione cui essi vanno incontro nell'attuale situazione climatica viene spesso portata agli onori della cronaca, a volte con toni allarmistici. In effetti, lo studio delle variazioni glaciali costituisce, a livello scientifico, uno degli indicatori più obiettivi delle variazioni climatiche, sia attuali che passate, siano esse naturali o in parte indotte dall'uomo. Così come i ghiacci congelano, letteralmente, preziosi dati sull'atmosfera del passato, costruendo così un archivio di informazioni che permettono di risalire a migliaia di anni fa. Ma non solo: anche da un punto di vista più pratico, i ghiacciai sono delle straordinarie riserve d'acqua, spesso con un ruolo chiave nel bilancio idrico di regioni - come la Valle d'Aosta - dove il clima è piuttosto avaro di precipitazioni. Agricoltura, produzione idroelettrica, usi civili, dipendono in gran parte dall'acqua rilasciata dai ghiacciai. L'attuale fase di contrazione, se da un lato riduce la quantità d'acqua tenuta in magazzino, dall'altro libera grosse disponibilità idriche che è necessario saper quantificare e gestire. Non dimentichiamo poi il ruolo di attrattiva che i ghiacci d'alta quota rivestono in regioni a vocazione turistica, sia indirettamente come elemento del paesaggio, sia direttamente per l'alpinismo e lo sci. Ed ancora, tutte le problematiche legate ai fenomeni che avvengono nelle aree dove i ghiacciai sono da poco scomparsi, come erosione rapida del suolo, trasporto di materiali a valle e altri fenomeni che possono non di rado arrivare ad interessare anche le zone di fondovalle. Molti, insomma, i motivi per cui l'interesse verso i ghiacciai non è esclusiva di pochi studiosi, qualche alpinista e qualche romantico innamorato dei paesaggi alpini, ma tocca da vicino la vita concreta delle comunità, locali ed anche globale". Aggiunge il sito dell'"Arpa" valdostana, che sta facendo un lavoro preziosissimo di monitoraggio: "Nel corso del XX secolo le Alpi sono state una delle aree più colpite dal riscaldamento globale, con un aumento delle temperature medie di 1.2 °C a fronte di un riscaldamento medio globale di circa 0.74 °C. Dal termine della Piccola Età Glaciale (fase di espansione dei ghiacciai Alpini protrattasi dal 1300 al 1850 circa), i ghiacciai dell'arco alpino si sono ridotti di circa due terzi in 150 anni. I ghiacciai rispondono in modo diretto e rapido alle dinamiche di cambiamento climatico modificando la propria massa e le proprie caratteristiche morfologiche e dinamiche: progressivo arretramento delle fronti glaciali, incremento delle zone crepacciate, formazione di depressioni e di laghi sulla superficie, aumento dell'instabilità di seracchi pensili. Questa grande sensibilità alle variazioni del clima rende i ghiacciai dei preziosi indicatori che consentono di quantificare l'intensità con cui sta agendo il riscaldamento globale". Insomma: non è solo questione di essere "solastalgici", ma di agire. Ovvio che la questione ha un respiro mondiale, ma affrontare il futuro è indispensabile.