Mi piacerebbe, avessi tempo, essere come il protagonista dei versi di Eugenio Montale: «Sotto l'azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:«più in là». Quando viaggi, che sia una meta distante o vicina, con un tragitto lungo o breve poco importa sotto il profilo del proprio personale arricchimento personale. Non solo torni a casa imbevuto di cose nuove nel tuo bagaglio mentale, ma finisci in modo comparativo per chiederti come certe esperienze e certe emozioni possano essere vissute da chi - come turista e come viaggiatore (capisco che non sono proprio sinonimi) - viene in Valle d'Aosta. Non mi riferisco solo a quanto di pratico esiste nella vacanza, che certo conta molto: dalla qualità dei trasporti al livello delle strutture di accoglienza, dall'attrattività dei luoghi all'offerta della ristorazione e l'elenco potrebbe proseguire.
Mi riferisco alla versione moderna del genius loci, che da oggetto di culto per gli antichi romani, oggi è - di certo per me - quell'insieme di riferimenti che danno un'anima ai luoghi che visitiamo ovviamente ed in primis mi riferisco, più che all'anima degli avi che certo aleggia sempre, al contatto con le persone che abitano i posti che visito, come depositari per eredità di quell'insieme che fonda la loro civiltà. Certo ci vuole l'accortezza di uscire dal percorso solcato dai circuiti routinari e bisogna farlo stando all'ascolto, come scrive quella personalità mitteleuropea che è Claudio Magris: «Viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un'altra». Mi chiedo spesso se noi valdostani (escludo quelli che pur vivendo qui non si sentono tali, e ce ne sono e vanno rispettati se la mancata integrazione è una scelta) siamo capaci di comunicare la profondità della nostra storia e della nostra cultura. Conosco molti, dovunque siano a contatto con chi visita la Valle, che sono in grado di scavare a loro vantaggio nelle diverse sfaccettature della nostra realtà. Lo fanno con passione e impegno, consci dell'importanza di dare questa impressione di full immersion per chi viene da noi, affinché non si trovino in un luogo astratto in un oggi sospeso chissà dove ma in in un luogo antico e come tale ricco di storie da raccontare. Non sempre purtroppo è così - e non mi riferisco solo al personale stagionale, laddove non acculturato con elementi basici dai loro datori di lavoro che ci tengano a fare bella figura - e capita purtroppo di notare elementi di sciatteria se non di vero e proprio disinteresse. Mi dispiace che sia così e penso che valga la pena di sforzarsi. Quando mi occupai di Turismo inventai quel "Saveurs du Val d'Aoste", immaginando che sarebbe stato declinato - e non lo è stato - in oro, argento e bronzo per le attività di ristorazione e commerciali che valorizzassero in diverso modo a salire verso il podio più alto l'animo della nostra comunità e dei suoi prodotti. Ho sempre pensato che sarebbe stato bello accompagnare questo processo con momenti di riflessione e formazione per crescere sempre di più. Con una certezza: in un mondo globalizzato, in cui troppe cose finiscono in una sorta di centrifuga che scodella infine un prodotto scipito e standard (sulle Alpi appare ridicola certa ricopiatura di stampo tirolese!), saper accentuare le proprie caratteristiche marcanti attraverso un'ospitalità avvolgente (per altro gli ospizi sui Colli alpino furono "inventati" da San Bernardo di Aosta) è certamente un elemento vincente contro il grigiore della banalità e dell'anonimato. E questa, a conti fatti, rappresenta una differenza nella scelta di una destinazione all'epoca in cui il passaparola è la marea montante dei "social".