La premessa è che mi piace la marmotta. Fischia se minacciata a beneficio dei suoi simili con cui condivide una vita sociale, se ne sbatte della linea e diventa grassa per il periodo invernale in cui cade in letargo (di conseguenza esiste il modo di dire riposante «dormire come una marmotta»), al risveglio si diverte da matti e, se c'è un nevaio, scia con il sedere. Quando si poteva cacciare (oggi è un tabù ed anni fa contro una riapertura si mobilitò il giornalino "Topolino" nel nome delle "Giovani Marmotte"), diversi usi - ad esempio del grasso che non manca di certo - servivano alla medicina popolare valdostana come toccasana e alcuni amavano pure mangiarsela e io avevo una zia, Marie, che veniva considerata una numero uno del genere. Oggi sa che nessuno le spara e dunque fa la gradassa con gli esseri umani, considerandoli non più predatori.
Che avesse una propensione ai rapporti con la nostra specie lo raccontai all'inizio degli anni Ottanta in un mio servizio al "Tg1" in cui illustravo una colonia di marmotte che vivevano paciose in quasi cattività nelle loro tane senza paura di mostrarsi all'aperto a Champlan di Ayas, dove turisti e residenti si godevano lo spettacolo fra giochi, liti e rincorse appoggiati al guardrail della strada regionale. L'altro giorno ne ho vista una grassa come un frate all'ingresso di in alpeggio: ho tirato giù il finestrino della macchina e lei mi ha guardato con il suo muso simpatico e sembrava dirmi: «perché mi guardi?». Ma in queste ore - ne ho riferito su "Twitter" - mi è capitata una storia davvero spassosa. Vado a Valgrisenche al rifugio Bezzi per una bella serata, seguita poi dalla massacrante passeggiata lungo la vallata dal "Bezzi" al Rifugio "Epée", dove solo un overdose di polenta concia mi ha rinfrancato dopo una ventina di chilometri su e giù per sentieri e pietraie che non finivano più, in un'esposizione a cielo aperto di Alpi sofferenti per il cambiamento climatico. Ovviamente ho incontrato parecchie marmotte, ma loro non sapevano che ero impegnato da alcune ore in un'investigazione alla Maigret sulla storia di cui dicevo poco fa e che mi è servita per superare fiatoni e morse fantozziane dei miei scarponcini. Tutto era cominciato in fondo al perimetro della diga di Beauregard di una volta (oggi è a scorrimento ed anche per merito mio è stata tagliata buona parte della vecchia e pericolosa diga in cemento che aveva stravolto il paesaggio ed inghiottito villaggi), ho posteggiato l'auto e son partito con famigliola e amici di buona lena per il Rifugio. Noto un'auto del tutto circondata da un reticolato vero e proprio e poco più avanti ne noto un'altra con questa singolare struttura a protezione. Mentre camminiamo, ognuno esprime il proprio pensiero e l'unica che ci piglia della serie «proteggere la carrozzeria dagli animali» è mia moglie Mara, oggetto ingiusto di sfottò degli altri, che però mancavano di spiegazioni ragionevoli. Durante la robusta cena in Rifugio, giustificata dall'alibi, abbiamo consumato un sacco di energie salendo e siamo legittimato ad imitare Pantagruel e quello per dormire in alta quota una buona cena alpina è un buon "Petit Rouge" non ammazza nessuno, appare la verità per bocca del gestore, vecchio amico di tante battaglie, Piergiorgio Barrel, gestore storico del Rifugio, nel solco della zia. Conferma che l'auto che abbiamo visto ha messo in atto una misura anti-marmotta minimale con le rete, mentre lui - come si fa coi lupi - ha dovuto mettere una rete leggermente elettrificata per evitare le marmotte che superavano la recinzione con facilità. Perché? Pare, con danno elevatissimi per le auto, che adorino sgranocchiare i cavi sotto le auto e le marmotte e specie le marmottine cucciolo riescono a entrare nel motore. E questo finalmente spiega perché ogni tanto ad Aosta dal cofano è uscita e spesso è scappata nelle vie della città qualche marmotta "meccanica". Ma è al Rifugio "Epée" che ho avuto conferma dei danni alle auto e soprattutto una spiegazione: le marmotte pare adorino il grasso dell'auto presente in molti cavi del'automobile. A parte che la storia è spassosa, anche se temo le temo le ire di qualche animalista poco spiritoso, resta da capire che cosa si aspetti a mettere in campo un etologo, che studi questo apprendimento di nuovo cibo che si è propagato in fretta fra le marmotte della Valgrisenche. Si tratta, fuori dalla burla e dalle auto recintate, di un tassello interessante di passaggio culturale di una novità da un "inventore" dello sgranocchiare dei cavi esteso al patrimonio della specie. Confesso, tuttavia, di aver girato con circospezione la chiave della mia auto posteggiata per una notte nella zona delle "marmotte automotive" ed ho sentito con attenzione il "ron ron" del motore per sapere se fosse diventato culla di una marmotta intrusa!