E' del tutto evidente di come sul futuro della nostra Valle agiscano scelte estranee alle nostre decisioni e che, a seconda di come vanno le cose, influenzano non poco il nostro sviluppo e la qualità della vita dei valdostani. Il caso di scuola, che torna di attualità periodicamente, specie quando ci sono dei rincari tariffari, è quello delle autostrade, con la combinazione che la privatizzazione all'italiana, a beneficio in sostanza di due soli soggetti, in barba a certi principi della concorrenza, ha in Valle d'Aosta un esempio preclaro. Sono loro a dettare la linea su di un'infrastruttura nata non solo per i transiti internazionali ma anche per "accorciare" la Valle per i residenti. Dal 1999 la "Rav" entra a far parte del "Gruppo Benetton" lasciando il gruppo pubblico "Iri" e così i privati si prendono, in un sol boccone, sul nostro territorio una parte della "tangenziale" di Aosta, l'autostrada del Monte Bianco ed il Traforo del Monte Bianco, mentre già la maggioranza della "Sav" ("Quincinetto - Aosta" ed un pezzo della "tangenziale" di Aosta, oltreché il raccordo verso il Gran San Bernardo) era in mano al "Gruppo Gavio", che aveva comprato al momento giusto le quote pubbliche piemontesi.
Il "Gruppo Gavio" ha un ruolo di minoranza "pensante" al Traforo del Gran San Bernardo, dove la Regione Valle d'Aosta ha la maggioranza. In entrambi i casi - "Rav" e "Sav" - la Regione è quota di minoranza e dunque di fatto non decide. E naturalmente non è neppure da prendere in considerazione - lo dico incidentalmente - certa fantasia al potere che pensò in Regione di acquistare la "Rav" come se fosse una grande idea e non un "harakiri" con questo scenario. Ora, per quanto riguarda Benetton, con recenti scenari di carattere penale che mostrano gravi deficienze manutentive su certe infrastrutture, alla luce del tragico caso del "Ponte Morandi" di Genova, si è aperto un fronte di incertezza sul futuro del Gruppo, ma anche una riflessione indispensabile su controlli e vigilanza non solo sui manufatti da parte dello Stato, ma anche sui contenuti dei Piani legati alle concessioni ed alla loro durata quasi eterna, in una situazione che dovrebbe essere di mercato ed è monopolistica e con troppe mani libere. Con uno Stato - per capirci - che è un perditempo nelle scelte cruciali e per contro risulta lasso nelle verifiche necessarie sia tecniche che finanziarie. E' giusto chiedersi il perché di certi lavori, il perché altri lavori non siano stati fatti, come mai non sempre agisca la logica delle gare ed altre questioni fondamentali, ma è altrettanto evidente come l'aspetto più doloroso per il cittadino - ed i valdostani lo sanno bene - è la crescita folle dei pedaggi in assenza di strumenti che possano calmierare l'appetito dei privati. Osservava ieri su "La Repubblica" Ettore Livini: «L'Italia Spa non tiene più famiglia. E i guai di "Atlantia" e dei Benetton sono l'ultimo capitolo di quella crisi annunciata del capitalismo di casa nostra che Piazza Affari spiega nei numeri da tempo: le prime cinque aziende quotate sul listino sono o realtà pubbliche come "Enel" ed "Eni" o istituzioni finanziarie ad azionariato diffuso ("Generali", "Intesa" e "Unicredit"). La grande industria privata, un pezzo alla volta e per mille motivi diversi, sta invece alzando bandiera bianca. Con la tragedia del "Ponte Morandi" che rischia ora di spazzar via uno degli ultimi panda sopravvissuti a questa selezione darwiniana». Descritta questa lente discesa dei gruppi italiani, Livi torna al punto: «I Benetton - come hanno fatto gli Agnelli cedendo la guida del gruppo a Marchionne e comprando "Chrysler", i Ferrero con la recente campagna acquisti e Leonardo Del Vecchio con le fusioni internazionali di "Luxottica" - sono tra i pochi che hanno provato a ribellarsi all'ineluttabilità del nanismo o della svendita dell'impero di famiglia. La fortuna dei quattro fratelli di Ponzano - è vero - arriva più che dai maglioncini dalla rendita di posizione di un monopolio naturale "affittato" dallo Stato come le "Autostrade" e Fiumicino. Ma di fronte ai primi "screzi" familiari i quattro fratelli veneti hanno deciso di affidare le redini del loro impero ai manager - premiati a peso d'oro come dimostrano la buonuscita da 13 milioni ed il bonus (preso nell'anno della tragedia di Genova) garantiti a Giovanni Castellucci - provando a investire all'estero i soldi facili (7,4 miliardi di dividendi solo dal 2008) riscossi al casello. Dopo l'operazione "Abertis" in Spagna più del cinquanta per cento dei profitti del gruppo arriva da oltrefrontiera. La società ha "esportato" il sistema "Telepass" in mezzo mondo, comprato un pezzo del tunnel sotto la Manica, gestisce quattromila chilometri di strade in Brasile, mille in Cile, duemila in Francia e Spagna. La tragedia del "Ponte Morandi" - su cui saranno accertate tutte le responsabilità comprese quelle eventualmente in carico ai vertici di "Atlantia" - sta facendo così traballare una delle ultime mini-multinazionali italiane. E le prossime mosse, della famiglia e del governo, sono così fondamentali per la sua sopravvivenza. Altrimenti, per consolarci, valgono le parole del neo ministro dell'Economia Roberto Gualtieri: "Lo Stato italiano dispone fortunatamente di grandi aziende pubbliche strategiche, efficienti, che portano dividendi corposi e sono uno strumento importante di politica industriale". A questo punto - con l'aria che tira e con buona pace di Bruxelles che vuole privatizzarle - ci dovremo accontentare di quelle». La verità del caso valdostano è molto più semplice: a chiunque si affideranno le concessioni - che vadano via o che restino gli attuali oppure che ci sia il ritorno del pubblico - non si tratta più, come politica tariffaria, di bloccare aumenti che andranno avanti in automatico per le autostrade, a scenario immutato, da qui fino al 2032 (scadenza delle concessioni e gara per l'affidamento), ma di fare macchina indietro e ridurre tariffe non corrispondenti al servizio e questo tra l'altro ha un respiro europeo, visto che sia verso la Svizzera che verso la Francia siamo nel quadro della "Transeuropea dei Trasporti" e si salassano persone e merci europee in transito nella nostra vallata. Insomma: le autostrade hanno già oggi pedaggi illogici che vanno diminuiti e che si studino soluzioni di pagamenti annuali per i residenti, altrimenti avere contribuito - come ha fatto la Regione sin dall'inizio negli anni Sessanta - alla costruzione del sistema autostradale risulterebbe oltre ad un danno anche una beffa.