Ogni tanto ci si domanda, investiti come siamo da cattive notizie secondo l'assioma di certa informazione «nessuna notizia è buona notizia», come ci si debba approcciare alle cose. Per dirla con tono aulico: esiste una filosofia della vita o qualche accortezza per vivere meglio? Volo basso naturalmente, diffidando per natura di quella miriadi di guru che sotto ogni cielo dispensano ricette per la felicità, quando forse basta ed avanza un'operaia serenità. Lo svolgimento parte da uno spunto banale di qualche ora fa. In una sala gremita di famiglie e bambini mi sono goduto un film di animazione, "Il piccolo Yeti", che è una simpatica avventura che, partendo dai grattacieli di Shanghai, raggiunge le cime innevate dell'Himalaya con panorami che lasciano senza fiato e con un sentimentalismo allegro. Tutto ruota attorno all'amicizia fra un cucciolo di uomo delle nevi rapito ed alcuni bambini che lo liberano da questi affaristi-scienziati per riportarlo dai suoi genitori sull'Everest. Naturalmente, come da copione classico, ci sono questi cattivi che si oppongono a questo ritorno a casa e lo "Yeti" - che il mio amico Reinhold Messner è convinto esista davvero - dimostrerà per i buoni uno struggente affetto.
Tocca poi spiegare al pargolo seduto al mio fianco, dopo la proiezione, stavolta come altre volte, che questo mondo animale antropomorfo - che troppi animalisti prendono per buono - è una nostra antica invenzione, ma resta tale nei fatti con tutto il rispetto necessario per un mondo animale e le sue ricchezze. Il meccanismo è quello antico delle fiabe e delle favole, generi ormai mischiati in questi film di animazione che sono dosati in modo millimetrico ed efficace per avere divertimento e commozione, due sentimenti senza tempo. Eppure questa cosa della fantasia mi interessa molto. Sul dizionario etimologico si legge: «prestito latino di origine greca: dal latino "phantăsĭa", dal greco "Phantasía, immaginazione", propriamente "apparizione", derivazione di "phantázomai, immaginare, figurarsi"' (da cui anche "fantasma"), derivazione di "phaínomai, apparire"». Non so se abbia ragione Italo Calvino con il suo «La fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane». Oppure se più completo il pensiero di Simone Weil: «L'immaginazione e la fantasia costituiscono più di tre quarti della nostra vita reale». Già perché la sorella maggiore della fantasia resta l'immaginazione, fattore distintivo dell'intelligenza umana, che ci consente pensieri astratti, visioni immaginifiche, proiezioni prospettiche e mille altri applicazioni mentali che alimentano la nostra vita di tutti i giorni e che grazie agli artisti delle diverse discipline esaltano la produzione umana. I bambini ne hanno un uso quotidiano, fatto di riflessioni argute, domande, collegamenti logici ed illogici, capacità giocose, calembour che noi adulti inseguiamo. L'ho sempre visto con i miei figli ed è elemento non solo di divertimento ma di straordinaria osservazione della mente plastica di questi nostri cuccioli. J.R.R. Tolkien, quello del "Signore degli Anelli", ha detto: «La fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla Ragione, né smussa l'appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e migliori fantasie produrrà». Mi piace molto l'idea di questo connubio "Ragione-Fantasia" come uno degli antidoti a questa sorta di Male che emerge e si diffonde in questa nostra umanità scompaginata. Per questo anche noi adulti, come una delle molle della vita che ci fanno avanzare, dobbiamo tenere stretta la nostra capacità di fantasticare e di immaginare, come una sorta di ginnastica intellettuale, che eviti che una patina di grigiore e di malessere si posi su di noi. Ho cominciato con un film d'animazione con le tecniche digitali che consentono ormai qualunque diavoleria e finisco con un cartone animato tradizionale e persino pionieristico della mia infanzia, che ho rivisto tante volte e che si chiama, non a caso, "Fantasia" e vede Topolino nei panni di un apprendista stregone al quale si aprono diversi mondi. Prodotto nel 1940 da Walt Disney, vede le animazioni legate a brani di musica classica eseguiti dall'Orchestra di Filadelfia. Sono storie fantastiche che mi colpirono molto da bambino, ma oggi l'evoluzione tecnica è da capogiro.