La Politica è una roba complicata ed invece, via "social", ormai la si banalizza, perché lo sforzo dei guru della comunicazione e del marketing politico parte dall'assunto che chi svolge questa attività deve essere considerato «uno di noi». Di qui la necessità popolaresca di banalizzare e di semplificare in poche battute quanto invece è complesso, e si aggiunge a questa volgarizzazione la paranoia del voto, per cui il cittadino è visto per lo più come un elettore da attrarre. Si seguono i sondaggi prima di decidere, e se una decisione non piace, si inverte il senso di marcia. Per altro la favorita resta la tattica dell'effetto annuncio che accende fuochi spenti poi dall'inanità. Mi è molto piaciuto su "Huffpost" un punto di vista originale, che parte dall'uscita di scena - per ora - di Mario Draghi, che ha retto con grande perizia la "Bce" e ormai viene tirato per la giacchetta da tutti i fronti, essendo una persona pulita e competente. Verrebbe da dire che è rara avis in questi anni travagliati.
Mi riferisco ad un articolo di Giacomo Gatti psichiatra, psicanalista, che si propone di «disquisire su un concetto, espresso da Mario Draghi, sempre nel suddetto discorso di addio, allorché ha sostenuto che: "La Politica è conoscenza, coraggio, umiltà"». Bel concetto, in effetti, e viene sin da subito la tentazione di prendere le figurine dei big nazionali ed anche valdostani e guardare se e quanto queste caratteristiche ci siano non solo per responsabilità degli eletti, ma anche degli elettori. Aggiunge Gatti: «Questi tre "attributi" non possono che contribuire a costituire il mosaico pavimentale dell'edificio dell'efficienza e dell'etica della politica stessa. Senza questa struttura pavimentale, i pilastri dell'edificio dell'efficienza, dell'etica della politica, aggiungo, "democratica", diventano come fragili tralicci spazzabili via dal vento, talora, di facili, nefasti destini, avversi a tutto quanto di cui sopra. Procediamo a esaminare questi tre "attributi" e le condizioni necessarie affinché essi siano sufficientemente garantiti negli attori della politica. "Conoscenza": il fare politica ha assunto nel tempo, sempre di più, l'indispensabilità di vaste e poliedriche conoscenze, derivabili da molteplici discipline: economia, scienze politiche, teorie di amministrazione aziendale, sociologia generale e politica, psicologia, eccetera, insomma uno spazio in cui il politico deve assolutamente infine guadagnare una complessa professionalità. Oggi, nelle scuole di formazione alla politica, si devono studiare i modi onde garantire questa istruzione di base. Questo aspetto formativo-culturale è senza meno il fattore meno problematico da conseguire. Intelligenza e saggezza non bastano più se non coniugate a uno studio riflessivo teorico-pratico in molteplici aree del sapere. Per gli altri due successivi attributi, "coraggio" e "umiltà", viene necessaria un'indispensabile digressione, dalla quale mi auguro si tragga la conoscenza, per tutti, e soprattutto, in primis, per i politici, di tutto ciò che deve risultare soddisfatto per ben usare, in politica il coraggio e per ben tollerare le conseguenze, talora, di inevitabili frustrazioni, onde elevarsi all'azione coraggiosa o meno da un banco di sana umiltà, al posto di un narcisismo offeso, capace spesso di rovinose iniziative! La dipendenza dal potere, in generale, e nel politico, in particolare, soprattutto in quest'epoca, definita, anche per questo, come "l'era della dipendenza" (e non solo, dunque, dalle droghe, ma, quindi, anche dal potere), genera nei potenti e nelle persone su cui viene esercitato il potere il fatto che essi si ritrovino coartati nelle loro potenzialità emotive, con mete pulsionali regressivamente limitate, che si riducono a quelle narcisistiche, giustificanti a monte la direttività da parte di un egoismo assoluto: i propri desideri, bisogni e interessi sono più importanti di quelli degli altri. Da queste condizioni psicopatologiche ben si comprenderà come, ad esempio, sia ben difficile talora il dispiegamento di coraggio per un buon uso e, figuriamoci, la garanzia di un buon dosaggio di sana umiltà, faro luminoso per i più obiettivi discernimenti. La storia ci ha insegnato come spesso il coraggio, possa rappresentare la matrice attuativa di un'aggressività distruttiva, si ricordi "il genio del male hitleriano" che prende coraggio a invadere la Polonia per distruggerla, in tal modo innestandosi la fatale scintilla che aprirà il fuoco del secondo conflitto mondiale e di contro, invece, J.F. Kennedy, che nel '61, contro il parere dei suoi generali modula ogni insensata aggressività, esprimendo sensato coraggio, contro il pericolo sovietico, nel giorno della "baia dei porci", evitando un nuovo conflitto mondiale. Al di là dei tanti buoni esempi, si dispiegano purtroppo innumerevoli quelli riprovevoli, anche se più spiccioli, per dichiarate disfunzionalità emozionali nell'iter pragmatico-politico mondiale e nazionale, così giungendo anche ai nostri giorni attuali». Sono pensieri importanti, che centrano un tema che mi è sempre stato caro, in una logica di alfabetizzazione politica, che diventa culturale in senso più vasto. Scelta sempre difficile da mettere in piedi per il carattere troppo assorbente del binomio valdostano in cui la politica si abbina all'amministrazione e troppo spesso i giovani che si dicono disponibili ad un percorso di formazione vengono visti con sospettosità come possibili concorrenti futuri. Conclude Gatti - e sottoscrivo - con qualche elemento in più da sottolineare: «Dobbiamo allora esprimere una doverosa conclusione: nelle suddette scuole alla formazione alla politica oltre che a esigere per i discenti politici il procedere nella "conoscenza culturale", deve risultare come altamente necessario il graduale approssimarsi ad "apprendimenti emozionali" di sé stessi, attraverso sperimentati gruppi di formazione del pari di quelli offerti ai medici per ben sapere anche meglio gestire, dal punto di vista scientifico, la relazione con i propri pazienti, in tal modo realizzandosi un pieno e non retorico rispetto dell'etica medica. Non appaia fuori luogo questo riferimento! Non abbiamo sostenuto, d'altra parte, che il politico deve ormai costituirsi come un particolare e vero professionista? E aggiungo, in molte sedi, tra l'altro, ben remunerato! Egli deve allora ben funzionare, soprattutto rispetto ai sopracitati attributi, poiché a lui è affidata la difficile e responsabile gestione della res pubblica per il popolo, nella fattispecie, della Nazione Italia». Nel caso valdostano, per nulla banalmente, della nostra Valle, dove le cose non vanno bene e chi sprizza ottimismo recita una parte.