Domenica dal balcone di casa mia osservavo la strada statale 26 ed il vuoto totale: nessuna macchina in transito. Buon segno, ho pensato, essendo la logica dello stare in casa un coprifuoco per sconfiggere il virus che sta cambiando la nostra vita. Scenari irreali sino a poche settimane fa, quando tutto sembrava qualcosa di passeggero ed invece sta incidendo in modo evidente sui nostri stili di vita e su di un'economia che è a picco e lo stesso indebitamento pubblico, che serve ora a reggere l'urto delle conseguenze dell'epidemia, sarà un fardello per le generazioni a venire. Ormai annoto da giorni i miei pensieri su questo blog e non riesco ad uscire dal commento della crisi in atto, tanto è totalizzante ed anche - diciamo la verità - preoccupante quando attorno a noi, in una Valle d'Aosta dove tutti ci si conosce, si risale, malgrado la privacy e l'anonimato ufficiale, a chi è contagiato e persino a chi è morto.
La paura di lasciarci le penne credo che sia del tutto normale e, rispetto all'inizio della malattia, siamo diventati più cauti e guardiamo gli altri, quando abbiamo dei contatti, come potrebbe avvenire in un film sui morti viventi. Scherzo, naturalmente, perché l'umorismo serve, come dimostra certo materiale in giro sui "social" che sdrammatizza l'evento, come nella natura umana in cui - siamo davvero degli esseri originali nei nostri sentimenti - pianto e riso si mischiano da sempre. Da oggi poi sperimento una novità, lo "smart working", cioè il "telelavoro", anche se so che si discetta sulla terminologia: la sostanza è che si lavora da casa senza andare presso il posto di lavoro attraverso le tecnologie che ti consentono di svolgere le attività consuete. Sappiamo bene che non è certo la stessa cosa, venendo meno quella logica di socialità che fa parte del lavoro, ma la modalità ha un suo perché già normalmente ed ora a maggior ragione con gli obblighi per evitare la diffusione del virus. Il mio lavoro è dirigere la Struttura di programmazione della "Rai Valle d'Aosta", che sono spazi radio (un'ora al giorno, tranne la domenica) e mezz'ora di televisione (tranne il sabato). Il palinsesto è programmato sulla lunga distanza e la mia scelta è stata mantenere la logica di intrattenimento in televisione e avere qualche spazio di approfondimento sul "coronavirus" in radio. La redazione del telegiornale regionale si occupa già ampiamente della cronaca quotidiana e dunque non penso sia il caso di martellare ulteriormente i telespettatori che trovano elementi di normalità piuttosto vari nella nostra proposta televisiva. Per cui il "telelavoro" significa per me occuparmi di aspetti burocratici facilmente risolvibili via Web e naturalmente resta aperto il dialogo con i miei collaboratori attraverso i diversi strumenti possibili e ciò vale anche con i fornitori da cui acquisto del materiale. Certo, dall'estate in poi bisognerà organizzarsi rispetto al totale blocco attuale, in cui nessuno è in grado di girare il materiale per il futuro. Ma è un problema che si porrà più avanti e, per fortuna, è giacente un magazzino di prodotti che offre una certa tranquillità e lo stesso vale per il lavoro in radio, che ha produzioni e ritmi consolidati. Ma dicevo della socialità assente, che certo pesa e si supplisce anche in questo caso con i dialoghi sulle messaggerie, con le videochiamate, con mail che consentono di tenersi in contatto fuori da quella sfera familiare messa alla prova dalla convivenza continua. L'altro giorno pensavo a come tutto questo solo una quindicina di anni fa sarebbe stato più oppressivo senza quella connessione che consente di evadere dalle pareti domestiche e ciò dimostra come bisogna anche in Valle d'Aosta incrementare la qualità dei collegamenti digitali, cominciando da quella fibra ottica che per mia fortuna ho a pochi metri e senza la quale la mia clausura sarebbe meno agevole. E capisco bene quanto sia una posizione privilegiata rispetto a chi nel settore sanitario e nel resto delle attività ad esso legato combatte una dura battaglia quotidiana, alla quale in ogni momento bisogna rendere merito.