Oggi ho una specie di grumo fatto di apprensione e di dolore per questa storia del virus che pare surreale e invece colpisce duro persone, famiglie e paesi e mettersi nei panni degli altri, ragionando anche sui propri rischi, è un dovere di compartecipazione. Oggi penso alla famiglia di Lorenzo Repetto, il farmacista di Saint-Vincent, portato via dal virus malefico. Anche la scrittura quotidiana libera la mente da tanti pensieri e la casa diventa in questi giorni il fulcro della nostra vita. Mai come ora personalmente apprezzo questa necessità di essere "domestici", perché motivata senza "se" e "ma" dalla tutela della nostra salute. Anche se, beninteso, mi sento un po' prigioniero di queste circostanze, che ci tolgono la libertà di movimento e ci rendono impossibile qualunque pianificazione del futuro vicino o lontano. Ma "c'est la vie" nel senso più concreto del termine, perché la minaccia sulla nostra esistenza esiste davvero.
Le case, d'altra parte, fanno parte della nostra vita. Esiste anzitutto quella natale, che nel mio caso non è più quella dove sono nato davvero. Appartengo ad una generazione che è nata in Maternità, ma resta comunque natale l'abitazione dove sono nato e cresciuto nella bassa Valle d'Aosta a Verrès. In questa villetta anni Cinquanta, ma avveniristica come stile architettonico su disegno della coppia di architetti aostani Saltarelli&Piccato, ho passato la gran parte della mia vita sino al matrimonio. Oggi ci abita mia mamma novantenne, che ieri ho salutato sull'uscio perché con questo maledetto virus con i grandi vecchi bisogna essere cauti. Lasciata la mia camera e la casa nativa, vivendo in appartamenti provvisori in anni successivi e molto in albergo da giovane parlamentare a Roma (a Bruxelles invece avevo cambiato due appartamenti in locazione) ho costruito la casa nella collina di Saint-Vincent dove vivono i miei figli grandi. Era una bella casa luminosa con qualche mistero derivante da una abitazione rustica preesistente, come un genius loci impalpabile. Poi, per alcuni anni, sono stato in un appartamento nello stesso paese nell'antica "Villa De La Pierre", costruita - ma io ci ho abitato per caso! - da uno zio illustre della mia bisnonna. Casa piena di storia e ammodernata all'interno con uno stile semplice e minimalista con un bellissimo giardino. Infine la casa attuale sempre a Saint-Vincent, luminosa e razionale, disegnata dall'amico valdo-svizzero Alberto Alberti, architetto vallesano di grido, che è in questi giorni prigione dorata del prevalente telelavoro. Da qui vedo una bellissima vista della nostra Valle e la sera certi tramonti emozionano. Certo ho avuto altre case da svago, come quella del nonno al mare ad Imperia, una in montagna di mio papà che poi vendette, sempre in montagna nell'amata Champoluc ne affittai diverse, ne ereditai una, che poi ho venduto ad Aosta vicino a dove il mio bisnonno abitò negli anni Sessanta dell'Ottocento. Insomma, ogni passaggio che sia stato lungo o fugace mi ha lasciato qualcosa e io forse ho lasciato un minuscolo pezzettino di me in queste case più o meno stabili. E tuttavia, anche se l'inno alle case ci sta, mi prende una sorta di soffocamento quando ci si rende conto che non si è liberi di muoversi, e non dico di viaggiare, ma di spostarsi anche di pochi chilometri. Capita già di pensare, come sarà, che la casa-galera non sarà un fenomeno passeggero e che le date fissate - loro sì - saranno mobili, destinate cioè ad essere posposte e non si sa per quanto sino a minacciare la nostra estate. Per altro - lo so che è così - si tratta di ragionamenti infantili, perché intanto bisogna portare a casa la pelle, essendo disciplinati, e poi bisognerà affrontare la crisi economica che si sta sviluppando, aiutando tutti quelli che sono e saranno in difficoltà. Nel momento più buio - reso paradossale da questi giorni dal cielo azzurro e dai monti sfavillanti di neve - bisogna pensare alla ripartenza che verrà e questo ci rende meno strette le pareti di casa.