Tutto diventa relativo con questa epidemia e, come sempre, sono dell'idea che non si debba sprofondare in un pessimismo cosmico, ma neppure cadere nell'ottimismo sconsiderato. Si tratta di affrontare la realtà, magari sforzandoci per una volta di far sistema e mi riferisco, nella nostra minuscola Valle d'Aosta, alle tante energie disperse che aspettano solo di mettersi assieme come antidoto contro le molte mediocrità emerse in questa emergenza e che stridono con la meravigliosa forza dei tanti che hanno lavorato con impegno a tutti i livelli per arginare il virus e le sue conseguenze. Ora, in attesa del vaccino, vivremo ancora periodi difficili dopo il confinamento e la nuova guerra di lunga durata sarà contro la crisi economica, anche perché posti di fronte alla necessità di rifondare la nostra vita su basi nuove ed usi e costumi che cambieranno. Non bisogna drammatizzare, ma neppure far finta che non ci saranno difficoltà serie.
Il caso vuole che abbia scovato nella libreria un libro minuscolo. Si tratta di "Meglio essere felici" di Zygmunt Bauman, tratto da una conferenza tenuta in Italia poco prima della sua morte, avvenuta nel 2017. Scrive l'autore che è «scivoloso, offuscato, barcollante il terreno su cui ci troviamo quando cominciamo a discutere dell'idea di felicità». Le idee espresse assumono una valenza particolare in questo periodo di "coronavirus". Sulla felicità spunta nello scritto uno dei filosofi che preferisco: «Kant, uno dei più grandi filosofi mai esistiti, lo ha sottolineato in un modo molto azzeccato duecento anni fa, affermando che la felicità è un concetto talmente indeterminato che, sebbene ciascuno desideri conseguirla, tuttavia nessuno è in grado di dire in modo definitivo e coerente in cosa consista quel che vuole e desidera veramente. A mio parere la felicità è un concetto molto familiare e al tempo stesso sconosciuto. Tutti sanno cosa significa, fino a quando non chiediamo a un lui o a una lei, a un singolo concreto, di definire precisamente cosa sia». Felicità che, sull'onda della massoneria, è presente nella Costituzione americana e Baumann ricorda che proprio nella «Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti dove si proclama che ogni uomo e ogni donna hanno il diritto di ricercare la felicità». Poi spariglia le carte, prima con una prima definizione ironica della felicità: «Essere annoiati, non avere nulla da fare, svegliarsi la mattina e non sapere come riempire il giorno che arriva. Questa è la prima categoria della felicità». Facile smentirlo dopo settimane di clausura domestica. La seconda definizione, invece, funziona proprio con riferimento a questo periodo che stiamo vivendo: «La felicità non consiste nella libertà dai problemi, dalle preoccupazioni, dalle ansietà, ma al contrario sopraggiunge quando superiamo i problemi, le angustie, le difficoltà della nostra vita». Prosegue incalzante: «Causa di buona parte dell'infelicità contemporanea, delle nostre paure, preoccupazioni e dei nostri incubi: il problema della solitudine. (...) Con il virus della solitudine i cosiddetti social network guadagnano cifre abnormi. Mark Zuckerberg, inventore e proprietario di "Facebook", ha investito migliaia di miliardi di dollari capitalizzando precisamente su questo: sulla paura di essere abbandonati, di essere lasciati soli e di non avere amici attorno a sé, persone su cui potersi appoggiare in caso di necessità, semplicemente per sentire l'intima vicinanza con un altro essere umano». E' esattamente la sensazione derivante da quella onnipresenza delle tecnologie digitali di queste settimane, che ci ha salvati dall'isolamento totale, accentuando però quella mancanza di vita vissuta nei contatti reali di cui abbiamo necessità. Scrive il sociologo polacco: «Questa sostituzione, questo rimpiazzo della vera amicizia con i social network, provoca una profonda sensazione di insoddisfazione». E Baumann fa un esempio su come mai potremo sostituire la nostra fisicità con la sola realtà via Internet: «vi illustro una scena che avrete visto probabilmente diverse volte nella vostra vita, andando al ristorante: arriva una famiglia composta da quattro persone, due genitori e due figli. Ed ecco quattro cellulari. Ciascuno, anziché guardare gli altri, è rivolto verso il proprio schermo». Per lui la nostra vita «è divisa invece in due parti: esiste la parte online e quella offline. Non potete sottrarvi alla dimensione offline della vostra vita». Questa mai come oggi ci manca e Baumann lo aveva in qualche modo previsto: «Anche nel vostro posto di lavoro, di nuovo, troverete persone con diversi punti di vista, con diverse preferenze, idee, opinioni, fedi, colori della pelle: insomma, differenti in moltissimi modi. Le persone con le quali entrate in contatto su internet, su "Facebook", sono selezionate molto attentamente: quelle che non sono adatte a entrare a far parte della vostra cerchia sono semplicemente non invitate o vengono eliminate. Le cose non funzionano così, però, sul vostro posto di lavoro o nelle scuole in cui mandate i vostri figli. I bambini vengono da ogni tipo di famiglia. Pertanto, non vi sarà possibile evitare la parte offline della vita». Vi è poi la bella citazione di Umberto Eco: «egli formulò quella che chiamava "la condizione fondamentale dell'essere umano". Non resterete sorpresi quando vi svelerò questo segreto: la condizione fondamentale dell'essere umano Eco ne spiega la ragione in questo modo: è il suo sguardo (quello di un altro essere umano) che definisce e forma noi stessi. Così come non possiamo vivere senza mangiare e dormire, non possiamo comprendere chi siamo senza lo sguardo e la risposta dell'altro. Il risultato del vivere in una comunità dove ciascuno ha deciso sistematicamente di non guardarsi mai l'un l'altro, comportandosi come se non esistessimo, sarebbe la follia o la morte». E aggiunge: «Come disse Aristotele, oltre 2000 anni fa prima di Umberto Eco, solamente gli angeli e le bestie possono vivere al di fuori della polis. "Polis" significa comunità, presenza fisica, presenza in carne e ossa di altri esseri umani. Solamente gli angeli e le bestie, dunque, e sfortunatamente noi non siamo angeli - non so voi, ma io non lo sono di sicuro! e, per quanto riguarda le bestie, non vogliamo di certo essere bestie! Allora non abbiamo davvero scelta». Morale finale di Baumann: «La felicità cominci a casa. Non su Internet, ma a casa, in contatto con le altre persone. La felicità non risiede soltanto nello scambiarsi baci, questa è la parte più facile, ma sta anche nel litigare animatamente con gli altri, nelle discussioni, nei tentativi di negoziazione, nei litigi, nel provare a capire le ragioni dell'altro. Ecco dove comincia la felicità». Elementi su cui pensare.