«Il nemico vi ascolta. Tacete!». Questo vecchio slogan di epoca fascista, nel solco di una politica liberticida, è stato ripreso nei comportamenti da tutti quelli che, a fronte della pandemia, si sono messi nelle condizioni di censurare ogni legittima critica nei confronti delle diverse Autorità preposte all'emergenza, sentendosi in dovere di ergersi a difensori d'ufficio. Intendiamoci: ci stava che nei momenti più drammatici del contagio, quando il "coronavirus" è piombato nelle nostre vite e ha sconvolto società ed economia, ci dovesse essere una sorta di tregua ed il superamento di polemiche e bagarre. Ma questo non ha mai significato per me l'impossibilità di esercitare un legittimo diritto di critica. Un conto è il dovere di essere collaborativi, un conto è essere collaborazionisti con chi sbaglia e di errori ce ne sono stati tanti. Una seria riflessione ex post sarà davvero utile per essere più pronti e capaci nella reazione ad emergenze sanitarie come questa.
Ognuno parla giustamente di quello che sa. Non torno neppure sul disastro della comunicazione istituzionale a tutti i livelli, fatta di notizie contraddittorie e persino sbagliate con conferenze stampa ansiogene ed interviste incrociate in cui era evidente che la mano destra non sapesse che cosa facesse la mano sinistra. La comunicazione di emergenza è una disciplina e come tale va considerata. Ma il punto nodale è invece giuridico. Esiste la frase: «La legge non ammette ignoranza». Così da sempre si insegna agli studenti di giurisprudenza, ricordando uno dei primi articoli del "Codice Penale", ma in realtà nell'uso meno puntuale dal punto di vista giuridico assume una valenza più generale e nella vulgata popolare viene di conseguenza usato in modo onnicomprensivo e non solo con riferimento specifico al Diritto. Anche se poi, ma sono minuzie, la locuzione latina originaria sarebbe «Ignorantia legis non excusat», letteralmente traducibile con «L'ignoranza della legge non scusa» oppure si rinviene nelle formule analoghe «Ignorantia iuris neminem excusat» oppure nell'assai simile «Ignorantia legis neminem excusat», cioè in italiano «L'ignoranza della legge non scusa nessuno». La certezza è, esattamente all'inverso, che nel dedalo di normative, che attornia i cittadini qualunque sia la loro vita e la loro attività, scricchiola ogni certezza così tanto da far pronunciare, anni fa, la Corte Costituzionale con la nota sentenza numero 364/88. La Consulta dichiarò l'articolo in questione parzialmente illegittimo per il fatto che non prevede l'ignoranza inevitabile della legge penale. Anzi ad essere più precisi ma certo bisogna ragionarci su "nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge l'ignoranza inevitabile e quindi scusabile". L'«ignoranza inevitabile» può dipendere, infatti, da fattori soggettivi, come una carenza di competenze del cittadino per comprendere correttamente il testo normativo, ovvero all'analfabetismo; o da fattori oggettivi, come l'eccessivo numero di leggi, e successive modifiche, e la loro difficile reperibilità in Internet e nelle collezioni di riviste giuridiche. Poi la Corte di Cassazione ha a sua volta pronunciato diverse sentenze che hanno ulteriormente forgiato questa "ignoranza". Ebbene questa emergenza è stata il trionfo dell'impossibilità di avere certezze e conoscenze. L'uso spregiudicato del "Dpcm" poteva avere qualche senso nella primissima fase, si è poi passati al Decreto legge ed infine a leggi. Sommato alla produzione normativa delle Regioni e persino a scelte comunali il cittadino si è trovato imprigionato in una sorta di ragnatela inestricabile e così corposa da riempire volumi e volumi. Ma ciò è avvenuto sempre in una situazione di soggezione di un Parlamento sovrastato dall'Esecutivo nel nome dell'emergenza e lo stesso è avvenuto nel rapporto fra presidenti di Regione, Giunte regionali e Consigli regionali. In più il Governo ha alternato "carota" e "bastone" con le Regioni e gli Enti locali in una visione di fondo fortemente centralistica, mentre troppo spesso il pesce puzza dalla testa. Ma quel che ha colpito in queste ore è la continua scelta ridicola nei tempi. Pensiamo alla riapertura di certe attività commerciali prevista per lunedì prossimo e al fatto che, ancora questa volta e distanti dal momento peggiore della crisi che poteva ogni tanto giustificare tempi cortissimi, le regole vengono rese note a poche ore dall'evento in una ridda di voci, senza certezza alcuna e con la Politica che si rifugia dietro Medicina e Scienza non come importante supporto tecnico ma come foglia di fico dei propri balbettamenti e annunci ripetuti e spesso discordanti se non antitetici. Chi ci rimette, come sempre, è un cittadino trattato come un minus habens, un bambino di cui non fidarsi e da tenere per mano, imprenditori da aiutare ma di cui non fidarsi troppo, regole che diventano rigide per i deboli e fisarmoniche per i forti, burocrazia diffidente e occhiuta, attenzione spasmodica ai vantaggi elettorali con prebende e mancette di convenienza. Che il dopo "covid-19" rappresenti anche in questo un cambiamento, ma anche la parola "cambiamento" fa parte di quella inflazione verbale di cui la gran parte diffidano, perché serve a coprire anche le peggiori operazioni politiche.