Chi mi conosce sa bene come io sia finito in politica per caso. Quando mi venne proposta la candidatura alla carica di deputato nel lontano 1987, pensavo a tutt'altro: facevo il giornalista da poco meno di dieci anni con grande soddisfazione. Era pur vero che esisteva nel "dna" una storia di famiglia: il fratello del mio bisnonno, Antonio Caveri, era stato il primo presidente della Provincia di Genova, deputato nel Parlamento subalpino e poi Senatore del Regno, così come mio zio Séverin era stato presidente della Valle e deputato, oltreché fondatore e leader per decenni dell'Union Valdôtaine, di cui ho sempre condivido gli ideali finché erano rimasti tali. Tuttavia mai, in quegli anni in cui nacque la televisione regionale, mi era balenata l'idea di qualcosa di diverso dalla radio e dalla televisione. Poi successe.
Il resto, per molti anni e con diversi incarichi che non mi sembra il caso di elencare, è venuto da sé. Così sino al 2013 ho avuto ruoli elettivi, poi sono tornato al mio lavoro alla "Rai". Ho continuato da allora ad occuparmi, come cittadino, di politica per passione, seguendo da fuori da ogni Palazzo le vicende della mia amata Valle d'Aosta. Ho assistito così a un lento degrado ancora in corso della situazione istituzionale ed anche ad una crescente rabbia verso il mondo della politica ed in senso lato dell'amministrazione. Il rinculo evidente colpisce la forza e la credibilità dell'Autonomia speciale e il calor bianco è stato raggiunto con la complessa vicenda della pandemia. Le vicende sanitarie si sono obbligatoriamente impastate con la crisi economica ed alla gravità della malattia e delle sue conseguenze si sono aggiunte le molte paure per il tonfo per molte attività economiche. Il pessimismo e la sfiducia sono anch'essi un virus pernicioso. Questa cappa di cupezza avvolge ora la Valle ed è difficile ormai distinguere il bene e il male, i capaci e gli incapaci, le idee buone da quelle cattive. Una paralisi assai pericolosa, anzi per certi versi un arretramento che spinge verso un baratro di cui è difficile calcolare la profondità e le esatte conseguenze. In molti - e io stesso ho avuto la medesima tentazione ed ogni tanto ancora si manifesta - si sono rifugiati nel privato. Guardano le cose dall'esterno, criticano ed esprimono disgusto e preoccupazione. Altri inseguono l'antipolitica vera e propria, senza che ai singoli problemi si affianchino le soluzioni da dare. Un mugugno che diventa rabbia rancorosa ed una militanza confusa verso orizzonti incerti. In entrambi i casi energie gettate nel vento e destinate a un'inutilità anch'essa nociva come tutto il resto. Tuttavia, quando mi capita di osservare come il far niente o buttarsi in avventure inutili è uno spreco a fronte di una necessità di ripartenza e di serietà, sento molte obiezioni ed anche i migliori argomenti sembrano scuotere poco le coscienze ed invitare a risposte logiche e razionali. L'abbandono del campo favorisce sempre i mediocri che non hanno mai nulla da perdere e si insinuano lesti nelle situazioni difficili, peggiorando il quadro con dilettantismo e talvolta persino con disonestà. Il «che fare?» diventa difficile e le risposte sembrano sempre insufficienti quando si cercano vie d'uscita e stimoli che possano dare una sveglia complessiva, che non siano desiderata vacui o logiche corporative che non portano da nessuna parte. Eppure non esiste una logica di chiamarsi fuori o peggio di aspettare che tutto sia andato a carte quarantotto. Scusate lo sfogo.