Difendere le proprie prerogative costituzionali è un caposaldo dell'Autonomia valdostana. Per questo bisogna diffidare di ogni interferenza, piccola o grande che sia. Mi è capitato spesso nella mia attività politica di dover affermare regole e principi per evitare che un buchino servisse come porta d'ingresso di stravolgimenti istituzionali. Per cui inorridisco per questa recente iniziativa del premier Giuseppe Conte che, con una lettera alla presidente del Consiglio Valle Emily Rini, si occupa della vigente legge elettorale in tema di equilibrio di rappresentanza fra donne e uomini nei Consigli regionali, chiedendone alla Valle d'Aosta per lettera (per lettera!) una modifica rispetto alla vigente preferenza unica. Già l'interlocuzione è sbagliata: l'Esecutivo nazionale scrive al presidente del Consiglio e non, come dovuto in primis al presidente della Regione (o lo ha fatto ma Renzo Testolin ha taciuto?), ma la cosa peggiore è l'invasione di campo su di una materia pienamente in capo alla Regione.
Lo dico con un breve riassunto di perché questa materia sia pienamente nelle mani del legislatore regionale e la lettera non è uno strumento adoperabile da Palazzo Chigi. Anzitutto un po' di storia pregressa: le prime elezioni del Consiglio Valle avvennero il 24 aprile 1949 con un sistema elettorale che venne molto criticato prima e dopo il voto. Si trattava di un sistema maggioritario strong, con l'ottanta per cento dei 35 seggi destinati alla lista vincente e il restante venti per cento alla seconda lista; per gli altri nessuna rappresentanza. Il meccanismo stabilito consentiva inoltre il cosiddetto "panachage" tra le liste, ovvero la possibilità per l'elettore di dare la preferenza a candidati anche di schieramenti opposti. Grazie al lavoro parlamentare di mio zio Séverin Caveri, allora deputato a Roma, in Valle d'Aosta nel 1963 si arrivò al voto con una nuova legge basata sul sistema proporzionale, come proposto per altro dal Consiglio Valle al Parlamento italiano in anni cruciali per le sorti dell'Autonomia valdostana. Questo dimostra - attenzione! - come fino al 1989 per quarant'anni, quale esempio di una visione centralista, spettasse allo Stato l'adozione della legge elettorale per la Valle d'Aosta come fossimo minus habentes. Penso in materia elettorale di avere avuto qualche merito con la mia attività parlamentare. Pochi lo ricordano, ma carta canta anche per certi smemorati, anche fra gli addetti ai lavori. Infatti solo una riforma costituzionale da me proposta e che seguii passo a passo sino all'approvazione consentì di portare questo potere a chi logicamente spettava. Il testo, scritto di mio pugno nello Statuto fu: "Il Consiglio della Valle è composto di trentacinque consiglieri, eletti a suffragio universale, uguale, diretto e segreto secondo le norme stabilite con legge regionale adottata con la maggioranza dei due terzi dei consiglieri assegnati". Questo portò alla nuova legge elettorale, finalmente scritta dai consiglieri espressione dei valdostani, approvata nel 1993, che riduceva da tre a due il numero delle preferenze e prevedeva, come soglia minima di accesso per l'assegnazione dei seggi, un trentacinquesimo (cioè un "seggio pieno") dei voti validi espressi. Nel 1997 vennero approvate tre modifiche nel sistema elettorale: si torna alle tre preferenze, viene introdotto uno sbarramento a "due seggi pieni", che sarà allora di 4.472 voti, ed è possibile l'apparentamento, per il cosiddetto "seggio walser". Poi - nell'epoca del nuovo regionalismo con riforme costituzionali - mi toccò di nuovo operare, lavoro appassionante e minuzioso, alla Camera dei deputati e buona parte del nuovo articolo 15 dello Statuto attuale con legge costituzionale del 2001 è mia opera, compresa la scelta che difendo di non optare tout court per l'elezione diretta del presidente della Regione per evitare derive cesaristiche (ma quelle "augustee" ci sono state lo stesso...). Da notare anche qui la scelta di usare "Consiglio della Valle", come originale espressione ormai radicata nella storia dell'ordinamento valdostano, di cui bisogna essere sempre degni. Ecco il testo, molto soppesato in lunghe discussioni parlamentari: "In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con l'osservanza di quanto disposto dal presente Titolo, la legge regionale, approvata con la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, determina la forma di governo della Regione e, specificatamente, le modalità di elezione del Consiglio della Valle, del presidente della Regione e degli assessori, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con le predette cariche, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l'approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del presidente della Regione, nonché l'esercizio del diritto di iniziativa popolare delle leggi regionali e del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo. Al fine di conseguire l'equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni di parità per l'accesso alle consultazioni elettorali. L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della Regione, se eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio regionale. In ogni caso, i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del Consiglio della Valle". Notate che si cita nella norma la «rappresentanza dei sessi», esplicitata in effetti dalla legge in vigore attraverso una percentuale obbligatoria di presenze femminili nelle liste al momento della loro presentazione, oggi del 34 per cento. La stessa legge attuale è quella che prevede la preferenza unica, che è per me una baggianata, ma è in vigore lo stesso. Ora Conte, nella sua lettera, che pure pare tristemente generica e neppure informata della nostra normativa nel suo complesso, contesta la preferenza unica che ha sostituito le tre preferenze, e chiede di cambiare, mettendone due, senza averne alcun titolo per farlo! E per farlo cita una legge ordinaria, la numero 20 del 2016, che non può agire, non essendo norma di rango costituzionale, su di una materia contenuta nel nostro Statuto, che è di rango costituzionale. Una terribile gaffe istituzionale, che un tempo avrebbe sollevato fuochi e fiamme e una ribellione dei parlamentari valdostani, della Giunta Regionale, del suo presidente e del Consiglio Valle e del suo presidente. Strano che Conte non si ricordi che quando venne approvata la legge valdostana di riforma del sistema elettorale, con preferenza unica, lui stesso era premier del suo primo governo. Avrebbe potuto, nel giugno 2019, impugnare la legge per incostituzionalità sul punto che oggi evoca, ma non lo fece. Per cui oggi piange lacrime di coccodrillo e appare, quantomeno, incoerente. Io risponderei così a Conte: «Egregio Presidente, si compri un manuale di diritto costituzionale e studi il perché la sua lettera è irricevibile. Cordialmente».