La "Cassa Depositi e Prestiti", in questi mesi, è stata considerata come una meravigliosa corazzata dello Stato, pronta a tutto grazie all'opulento risparmio postale, con azioni che peseranno sulle spalle dei cittadini, che potrebbero veder sparire i loro soldi in operazioni troppo spesso a rischio. L'idea di base, attorno a vicende annose come "Alitalia", siderurgia "Ilva" a Taranto, futuro di "Tim" e "Open Fiber" e naturalmente di "Autostrade", è il ritorno alla statalizzazione di interi comparti dell'economia. Se già la tendenza era avviata, figurarsi cosa sta avvenendo in tempo di "coronavirus" e conseguente crisi economica, con un crescente ruolo di salvataggio e di assistenza (spesso assistenzialismo) dello Stato. Questo archivia per sempre, ed è un bene, logiche grottesche di ultraliberismo, ma è fuori dalla Storia chi pensa di buttare via un liberismo basato su principi ragionevoli di concorrenza e di un ruolo ben vigilato dell'imprenditoria privata.
Questa strada invece di uno Stato onnipresente, imboccata con decisione, appare sotto una veste nuova rispetto al passato, quando imperavano le Partecipazioni statali che - per fare un esempio - avevano messo in ginocchio un'azienda come la "Cogne" di Aosta che si è ripresa in mano ai privati. La novità è che esiste un populismo diffuso che vorrebbe uno Stato padre e padrone. Esempio chiaro è la confusa ideologia "grillina" e gli scenari futuri fantasiosi e irrealistici disegnati dai "Cinque Stelle", che mirano oggi a controllare tutto il controllabile, consci di essere in caduta libera nelle elezioni. Il Partito Democratico li segue in scia, convinto di attrarre quel loro elettorato, proprio attraverso discorsi che dovrebbero suonare come musica per le orecchie di chi agogna uno Stato che torni protagonista assoluto nell'economia e non solo. Certa Sinistra ormai ha scelto di indebitarsi sino alle orecchie con iniezione diretta di soldi pubblici, frutto di indebitamento sempre più elevato. La filosofia visibile nella "quota 100" e nella distribuzione a pioggia di mance e mancette. Esemplare il "reddito di cittadinanza", che dà pesce ai bisognosi, ma non insegna a pescarlo, come ricorda un vecchio detto che denunciava politiche pietistiche al posto di interventi strutturali negli aspetti produttivi e occupazionali. Per carità di Patria non cito poi gli aspetti contraddittori sui fondi che in vario modo dovrebbero arrivare dall'Europa che in cambio vorrebbero riforme vere e non annunciate, e questa richiesta legittima viene vissuta come lesa maestà... Basterebbe ricordare che l'Italia stenta a spendere i fondi comunitari già a disposizione in modo ordinario e non straordinario! Anche per questo, oltre all'elevato tasso di ingovernabilità e la volubilità dei decisori su dossier essenziali, emerge uno scetticismo crescente a Bruxelles, tenendo conto dell'antieuropeismo virale che sembra aver conquistato l'italiano medio. E proprio nel quadro italiano esiste il "paradosso valdostano". Mentre in Italia, infatti, il pubblico vuole dilagare e riprendere in mano gangli più o meno vitali dell'economia, in Valle si ragiona su come smantellare gli eccessi del pubblico, nel senso della presenza della Regione autonoma. Come se ci fossero tra Roma e Aosta due strade del tutto divergenti. Da una parte il pubblico ritorna, dall'altro va smantellato. Questo per dire che - modus in rebus - ci vorrebbe un ragionamento pacato sul tema, sapendo degli eccessi dello "statalismo" regionale in ambiti non necessari, ma facendo attenzione a non eccedere dalla parte opposta. Certo, la campagna elettorale per le Regionali, nel cuore dell'estate con cittadini distratti dalla stagione e dalle preoccupazioni sanitarie ed economiche per l'autunno "caldo", non credo che aiuterà a chiarire le posizioni. Le mie si assestano su un "juste milieu", che tenga conto delle necessità e di un'economia che, senza ripartenza, priverà il Bilancio regionale delle risorse necessarie per l'ordinanza amministrazione. Un riordino delle Partecipate regionali sarebbe già un bel punto di partenza.