L'Autonomia valdostana, che attraversa la storia sino ad oggi, è stata per secoli basata sul particolarismo derivante dall'essere un Pays d'État interamente montano. Essere un esempio di Autonomia alpina resta un fatto importante e esemplare nella discussione sul nostro futuro politico e per quello delle Alpi. Questa straordinaria catena di montagne che attraversa l'Europa e unisce e divide popolazioni rese diverse e assieme simili da civiltà cresciute e sviluppatesi sotto le grandi cime. Esistono libri bellissimi che raccontano di questa sinfonia di popolazioni, con usi e costumi che riecheggiano come echi da una vallata all'altra a dispetto della rigidità dei pur diversi Stati nazionali che incidono sulle questa catena, dalla Slovenia sino al Principato di Monaco.
Senza tornare a passati remoti, esiste questa famosa "Dichiarazione dei Popoli Alpini", scritta da valdostani e valdesi nel 1943 in epoca fascista. L'ha riassunta bene un giovane studioso valdostano, Fréderic Piccoli: «Nella prima parte, i federalisti si scagliavano contro l'oppressione politica del regime fascista, che aveva imposto dall'alto la propria autorità e funzionari pubblici, impedendo qualsiasi forma di sviluppo democratico delle comunità alpine; contro le condizioni di sfruttamento spregiudicato delle aree di montagna, che avevano determinato lo spopolamento delle Alpi; e contro l'opera di smantellamento della cultura locale, promossa attraverso provvedimenti paradossali, quali l'italianizzazione dei toponimi o la chiusura di scuole ed istituti locali autonomi che avevano contribuito in maniera significativa all'alfabetizzazione dell'area alpina. Nella seconda parte, affermavano anzitutto i diritti alla libertà di lingua e di religione come "condizione essenziale per la salvaguardia della personalità umana", anticipando il principio personalistico contenuto nella Costituzione repubblicana e la garanzia dei diritti individuali e collettivi. Quindi, riconoscevano nel federalismo l'unica soluzione per la coesistenza fra popoli di lingua, cultura e religione differente, nonché l'unico argine al ritorno della dittatura. Nella terza parte, sottolineavano che, nel quadro del futuro Stato federale italiano, le vallate alpine si sarebbero dovute costituire, su base volontaria e democratica, in comunità autonome sul modello cantonale, conservando il diritto di essere rappresentate, al di là del numero (esiguo) degli abitanti, nelle assemblee politiche dello Stato e ottenendo che le autorità e i funzionari pubblici fossero espressione della comunità locale. A ciò si aggiunse la richiesta di autonomie culturali e linguistiche, quali ad esempio il riconoscimento del diritto di usare e di insegnare la lingua locale, oltre al ripristino della toponomastica, e la rivendicazione di autonomie economiche, che sostenessero la riforma del sistema agricolo montano e lo sviluppo delle valli alpine». Oggi c'è odore di crescente colonialismo, cui bisognerebbe reagire con una riflessione alpina a tutto tondo, tenendo conto di un'opportunità che di questi tempi sembra essersi spenta a distanza dopo il via tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016 della "Macroregione Alpina". La politica ha ceduto sul dossier il passo ai burocrati e lo si è visto anche, nel nostro piccolo, dallo scarso impegno politico sul tema, forse perché per alcuni non distilla voti, autentica ossessione che ammorba ogni scelta di respiro più ampio. Partiamo dall'acronimo, che a me non piace, "Eusalp", che sta - sarebbe stato meglio scegliere il latino che l'inglese! - per "EU Strategy for the Alpine region". Questa strategia macroregionale alpina è la quarta strategia macroregionale varata dall'Unione dopo quelle del Baltico, del Danubio e dell'Adriatico. E' una realtà geo-economica che - come da documenti ufficiali - poggia sul primato del manifatturiero e dell'artigianato, delle micro e delle piccole imprese, nell'ambito di un'area transfrontaliera assai vasta, che coinvolge 46 Regioni appartenenti a sette Stati: Italia (Lombardia, Liguria, Friuli e Venezia Giulia, Veneto, Provincia autonoma di Trento, Provincia autonoma di Bolzano, Valle d'Aosta e Piemonte), Austria, Svizzera, Francia, Germania, Liechtenstein, Slovenia. In termini numerici la Macroregione Alpina, che non è una nuova istituzione ma appunto un luogo di incontro e di decisione, copre un'area di 400mila chilometri quadrati ed investe una popolazione di 70 milioni di abitanti, con un "pil" di oltre tremila miliardi di euro. Ma quel che conta è conoscersi e scambiarsi buone pratiche per risolvere gli stessi problemi! La rivoluzione digitale accorcia le distanze e consente dialoghi continui. In fondo ci sono due movimenti che interessano. Ce n'è uno orizzontale, che guarda il massiccio alpino in tutto il suo sviluppo, usando il famoso esempio della cerniera, che non è una novità ma una costante millenaria di rapporti reciproci quando gli Stati nazionali neppure esistevano; ce n'è un altro che lavora su di una dimensione verticale corta che lega il versante Sud e quello Nord attraverso strumenti vecchi e nuovi di cooperazione. Entrambe le geometrie complementari, tenendo conto della vecchia "Convenzione Alpina" e dei suoi Protocolli, dovrebbero ragionare in termini di vera cooperazione territoriale senza quelle ingerenze statali in negativo che proprio sulla "Convenzione Alpina" hanno pesato come macigni con le Capitali degli Stati che in modo dirigistico e con lo stampino ambientalista mettevano il naso ovunque, anche laddove poteri e competenze erano solidamente su basi locale. Anche questa è una radice feconda per la nostra piccola Valle.
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